C’era una volta il camionista “capomacchina”: tornerà per guidare i giovani in questo lavoro?

Un celebre attore britannico, Jeremy Irons, ha affermato che tutti “hanno le proprie macchine del tempo, che in alcuni casi ci portano indietro, e si chiamano ricordi, mentre altre volte ci portano avanti, e si chiamano sogni”. Giuseppe Cristinelli, presidente della Fai, federazione autotrasportatori italiani, di Bergamo ha invece un “proprio camion del tempo” che, partendo dal passato per viaggiare nel futuro, potrebbe diventare il mezzo per risolvere uno dei principali problemi che l’Italia si sta ritrovando ad affrontare ormai da anni: la mancanza di autisti, il mancato “ricambio generazionale” di camionisti.  “Un progetto non nuovo ma che prende spunto dall’esperienza passata quando sugli mezzi pesanti viaggiavano due conducenti; il “capomacchina” , un professionista esperto, e un collega  più giovane e inesperto, affiancatogli  per dargli un eventuale cambio al volante in caso di necessità, ma soprattutto per imparare il mestiere. L’idea oggi sarebbe di “ripristinare” la figura del capomacchina in chiave moderna, facendogli fare da tutor, durante la sua normale attività,  a un giovane che sia disponibile a “imparare” il mestiere di conducente. Non è una strada facilmente percorribile (60 anni fa avere due autisti a bordo era quasi la norma mentre oggi sulla carta sarebbe un costo praticamente insostenibile), ma che con l’aiuto dello Stato potrebbe concretizzarsi”. E sul come far arrivare il progetto a destinazione il presidente della Fai Bergamo ha già le idee chiare: “innanzitutto retribuendo i giovani aspiranti camionisti, garantendo loro uno stipendio adeguato e ponendo le condizioni, per esempio attraverso una decontribuzione, affinché per l’impresa i costi si alleggeriscano. E poi semplificando il percorso per ottenere le patenti e la Cqc, trasformando il tempo trascorso dall’”apprendista camionista in cabina, accanto al capomacchina, in ore da considerarsi valide per l’ottenimento della patente e della Cqc, come se fossero state trascorse in aula a fare formazione. Spiegando, per esempio, la segnaletica in diretta, incrociandola lungo il viaggio. Più divertente, ma anche immediato per l’apprendimento. Certo, per far si che la formazione si sposti da un’aula alla cabina di guida occorrerebbe intervenire anche a livello normativo, burocratico, ma di fronte a un’emergenza come quella della mancanza di autisti in Italia e non solo credo che una modifica a una norma non potrebbe certo essere considerata un ostacolo insormontabile. Così come credo che perfino la macchina della burocrazia potrebbe accelerare i propri tempi intervenendo come è necessario avvenga in materia di patenti e di Cqc. Nessuno pensa che si possa agire “detto, fatto”, ma neppure che si debbano sempre aspettare mesi o anni  per agire”. Per trovare una soluzione al problema della carenza di autisti che Giuseppe Cristinelli ipotizza di proporre ai giovani “a partire dai 21 anni d’età, considerate le dimensioni dei mezzi, i pericoli che una manovra sbagliata potrebbe comportare, e seguendo un “percorso di formazione” che parta dalle manovre più semplici fino alle più complesse. Con il capomacchina ad accompagnare i potenziali colleghi come farebbe, in auto,  un padre con il figlio che abbia appena ottenuto il foglio rosa, a “impratichirsi” il più possibile. Ma anche con un altro delicato incarico: “capire se quell’”allievo” che gli è stato affidato potrà diventare davvero un bravo conducente o se invece non sarà il caso di consigliargli di “cambiare strada”, professionalmente parlando. Pensando ovviamente, anche in questo caso, a predisporre, normativamente, le condizioni perché tutto possa avvenire senza pesare ulteriormente sulle imprese. Insomma il progetto va “costruito”, ma i presupposti perché possa avvenire credo ci siano”.

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