Se l’autotrasporto è ridotto così la colpa è dei troppi errori dei suoi imprenditori. E non solo

Se il mondo dell’autotrasporto italiano dovesse essere raccontato attraverso una sola immagine, una possibile fotografia potrebbe essere quella di una vecchia strada senza nuovi collegamenti con altre infrastrutture, senza piazzole di sosta dove fermarsi a riflettere. In altre parole una strada a fondo cieco, pericolosamente lontana da un sistema integrato di comunicazione, dalla capacità di fare rete, di pianificare strategie. Un’immagine che non può non affacciarsi alla mente leggendo alcune delle considerazioni fatte da Carlo Molteni, imprenditore al volante dell’azienda di famiglia, la Autotrasporti F.lli Molteni s.a.s. di Giussano, nel monzese, che ha accettato di  “salire a bordo” di stradafacendo.tgcom24.it per compiere un viaggio nel passato, nel presente e nel futuro di questa professione. Un passato in cui Carlo Molteni vede un grande desiderio da parte di molti colleghi d’imparare per crescere, e un’altrettanto importante disponibilità da parte delle associazioni di categoria a esaudire questo loro desiderio, creando le condizioni per  formare una classe di imprenditori professionalmente e culturalmente sempre più preparati; un presente in cui  quel desiderio e quella passione appaiono, ai suoi occhi esperti, decisamente  indeboliti; un futuro in cui immagina gli operatori del settore  sempre più in difficoltà se non “verranno messi sempre più in condizione di confrontarsi con il mercato e i suoi cambiamenti, ma anche se non verrà offerta loro l’opportunità di confrontarsi con altri mondi, come per esempio quelli di consulenti del lavoro, avvocati e  commercialisti, aziende di marketing, web development, che possano aiutare l’autotrasporto ad avere una nuova visione allargata, e non solo con lo sguardo fisso esclusivamente sui viaggi da fare”. Perché quella, assicura Carlo Molteni, è una strada a fondo cieco, una via che rischia di diventare, per molti, senza ritorno, come spiega in questa intervista. Cultura d’impresa e formazione, legalità e sicurezza, eccesso di burocrazia: sono molti i temi con i quali devono confrontarsi ogni giorno gli imprenditori dell’autotrasporto, i responsabili delle loro  associazioni categoria,   chiamate a ricoprire un ruolo fondamentale per far crescere il settore… Se è d’accordo partiamo proprio dalla cultura d’impresa: un “valore” fondamentale per ogni attività. Quanto vale la “cultura”, in particolare, per il settore dell’autotrasporto? E quanta ce n’è oggi in questo mondo? “La risposta alla prima domanda è molto; la seconda, purtroppo, poco, con diversi esponenti della categoria che continuano a  confondere il concetto di “fare” l’imprenditore con l’ “essere” imprenditore. Una categoria che troppo spesso non ha una giusta visione della propria attività, del proprio ruolo negli “ingranaggi” dell’economia e del “sistema Paese”: imprenditori concentrati troppo sul presente, che vuol dire quasi essenzialmente fare viaggi, e poco nello sviluppo delle idee, che significa adeguarsi ai cambiamenti, fare gioco di squadra….”. Concetti a lei cari ormai da tempo: anni fa, a margine di un convegno, parlando con alcuni “colleghi” aveva  proposto di costruire una “rete d’impresa”, proprio  per fare gioco di squadra. Che fine ha fatto quella proposta? “E caduta nel vuoto. E a “farsi male” sono stati in molti, soprattutto fra coloro che non hanno saputo guardare oltre il parabrezza. Quello che mi domando sempre più spesso è come sia possibile che non si riesca a capire che  facendo rete, ognuno nel suo ruolo, potremmo  aver tutti maggiori opportunità di risultare vincenti Che risposta mi do? Perché siamo portati troppo a personalizzare il concetto di azienda. E perché, quando una proposta, qualunque essa sia, viene messa sul tavolo, si tende a metterne in evidenza gli aspetti negativi, sviluppando un retro pensiero che porta a concludere che ci sia sempre un interesse che possa favorire il portatore di idee”. Una categoria che, in materia di cultura d’impresa, sembra aver ancora molto da imparare: E a insegnare, chi c’è?  Lei una volta ha affermato che la ragione principale per la quale ha scelto di associarsi (nel suo caso alla Fai) lo ha fatto proprio per “imparare”, per essere informato e formato. Quanta informazione formazione ha ricevuto? “Tanta e di ottima qualità. A cavallo degli anni 1990/2000 la federazione ha contribuito in maniera decisiva nella mia formazione. Ho imparato molto: ricordo per esempio le tante serate passate a studiare un “famoso” decreto legislativo,  il numero 286/2005, quello sulla Riforma dell’autotrasporto, ancora oggi pietra miliare per coloro he vogliono affrontare il mondo dell’autotrasporto dal verso giusto. Anni in cui si era permeati da uno spirito di crescita personale che oggettivamente oggi però non riscontro più”. Le associazioni, come ogni altra realtà, devono sapersi evolvere per adeguarsi alle esigenze che mutano. Come vede l’evoluzione delle associazioni a breve medio termine e per fronteggiare, in particolare, quali mutamenti? Cosa dovrebbero fare le associazioni per aiutare le imprese a capire, in anticipo, quale sarà il futuro quale sarà lo sviluppo? “Negli ultimi anni le associazioni hanno privilegiato la formazione “necessaria” o presunta tale rispetto a quella di crescita di impresa. Quando all’interno della mia associazione provinciale è stato portato alla luce che esistevano imprese che nonostante possedessero 10 o 15 veicoli non conoscevano l’occasione del recupero delle accise mi sono cascate le braccia. I percorsi formativi, soprattutto in tema di salute e sicurezza devono essere svolti; ma sono esplicitati solo come rispetto di regole e non come impegno a “lavorare in sicurezza”. Devono essere ripristinati quei seminari che aiutano l’imprenditore ad approfondire alcune tematiche, mettendoli a confronto con consulenti del lavoro, avvocati, commercialisti, aziende di marketing, web development che possano dare loro una visione allargata e  che sappiano indirizzarli sulla strada del rispetto delle regole. Bisogna imparare a conoscere la propria azienda e questo è possibile solo ascoltando professionisti capaci. Senza dimenticare di  allontanare  dalle federazioni  quelle persone, non imprenditori, che presenti a vario titolo approfittano del loro ruolo offrendo “servizi” agli associati solo nel proprio interesse”. A proposito di futuro: non bisogna essere maghi per capire che già in quello prossimo la mancanza di autisti sarà una delle emergenze più gravi. Perché i giovani non vogliono più fare questa professione? E cosa andrebbe fatto per far cambiare loro idea? “Spesso si parla di giovani come di risorsa a prescindere, però la cultura della fatica sta scomparendo. Per prima cosa occorrerebbe  far scomparire il pregiudizio secondo cui  l’ autista è ancora quello degli anni ’60, con la canottiera addosso  e i calendari appesi sui finestrini. Poi, visto che oggi spesso viene richiesto loro di adempiere ad alcune competenze, soprattutto burocratiche, bisognerebbe riconoscergli un ruolo di lavoratore formato con più conoscenze. E poi bisognerebbe studiare accorgimenti (come la benedetta indennità di trasferta) che privilegino il lavoratore e l’azienda allo stesso modo”. Sono in molti ad affermare che se questo mestiere ha perso importanza, ma anche dignità, molte colpe vanno attribuite anche alla committenza per la quale il camionista è diventato spesso davvero “l’ultima ruota del carro”, con autisti costretti ad aspettare per ore sui piazzali, al freddo, magari senza possibilità di andare in bagno o a bere un caffè caldo per paura che “contagino… “Vero. Ricordo la famosa barzelletta che vedeva protagonista un autista volato in cielo San Pietro gli dice: “aspetta sul piazzale, prima di entrare”. Se solo molti sapessero i sacrifici che un autista compie tutte le mattine alzandosi presto per essere puntuale nelle  consegne, la visione cambierebbe. Vien voglia di dire: salite con un autista una settimana e la vostra visione cambierà”. Ma alla committenza il mondo dell’autotrasporto attribuisce anche altre colpe. Per esempio di essersi comportata fino a oggi come se il trasporto delle sue merci, delle sue materie prime e dei suoi prodotti finiti non la riguardasse… come se i rincari del carburante o degli additivi e delle gomme fossero “costi in più” che non li riguardavano…. “Oggi, a seguito di diversi fattori e anche per i tragici fatti che stanno accadendio in Ucraina il rapporto domanda – offerta si sta riequilibrando e l’importanza del trasporto nella catena del valore produttivo si sta affacciando; ma spetta sempre a noi imprenditori far risaltare questo valore”. Sempre a proposito di rapporti autotrasportatori-committenti: è recente  la notizia di un nuovo tavolo per le regole voluto dalla viceministra Teresa Bellanova per avviare un confronto diretto, con il Governo presente, fra committenza e autotrasporto. Quali dovranno essere i temi principali? “ Meno burocrazia, più controlli”. E come si ristabilisce un rapporto in cui il trasportatore sia di nuovo un collaboratore e non un subordinato? “Chiedendo con insistenza alla propria committenza di dialogare, non solo di tariffe, ma di operatività, di procedure, di fidelizzazione, di sviluppi futuri. Arrivando comunque a questi incontri preparati”. La committenza è stata messa spesso “sul banco degli imputati” dall’autotrasporto anche per non voler riconoscere i costi minimi per la sicurezza, quelli che servono a far circolare camion che non abbiano gomme lisce o freni usurati e che abbiano al volante un professionista della guida e non un “povero disperato” diventato camionista solo per necessità… “Alcuni committenti approfittano dell’incapacità imprenditoriale di molti vettori. Ma i costi minimi sono una garanzia, non la soluzione”. Lei la sua prima riunione sulla sicurezza l’ha fatta nel 2006 dopo che un cliente svizzero l’ha chiamata offrendole la possibilità di seguire dei corsi, d’impararla. Lei nei banchi si è seduto: quanti altri imprenditori l’hanno fatto o lo fanno? “Pochi. Ancora oggi molti lo vedono come un impedimento o peggio un obbligo che bisogna per forza rispettare. Fornendo spesso dichiarazioni su corsi, revisioni e documentazioni non proprio regolari”. La sicurezza dipende anche dalla legalità. A mettere potenzialmente in pericolo la vita di milioni di persone sono spesso imprenditori senza scrupoli che fanno “taroccare” i propri camion per non rispettare le norme in materia di ore di guida e di riposo. Eppure per assicurarla basterebbe fare dei controlli, “veri”…. “Molto giusto. Se gli organi di Polizia durante un controllo su strada riscontrano delle gravi violazioni, oltre un’adeguata sanzione mi piacerebbe che ci fosse il fermo amministrativo del veicolo per minimo due settimane. E la reiterata violazione dovrebbe portare al sequestro del veicolo”. Lei ha anche fatto riferimento, una volta, alla creazione di una “white list”, di un elenco di imprese sane alla quale possano aderire solo coloro che garantiscono legalità e capacità professionale… “Una semplice idea che dovrebbe coinvolgere i committenti (per esempio di alcuni settori specifici come container, prodotto petroliferi, cemento etc.) e le loro federazioni di appartenenza. Se esistesse un organo terzo condiviso da committenti e vettori che facesse da garante nella disciplina dei rapporti tra le parti, che paura avremmo per esempio ad accoglierli nelle nostre aziende?” Tutto quanto detto fin qui ci riporta al punto di partenza: alla necessità, quasi all’obbligo di creare a monte una nuova “cultura d’impresa”. Ma a contrastare questo possibile (e auspicabile) cambiamento culturale c’è un terribile nemico: la macchina della burocrazia che sembra pilotata apposta per viaggiare contromano rispetto ai problemi di chi lavora… Da decenni sentiamo dire che è la nemica pubblica numero uno ma nessuno ha fatto davvero qualcosa per sbarazzarcene. Lei cosa proporrebbe? “Dare una vera funzione all’Albo, organo fino a oggi silente su alcuni temi. Iniziare con l’abolire alcune leggi inutili e dannose. Ma da qualcosa partiamo, altrimenti….”. A proposito di chi, in questo Paese, “viaggia contromano”: non lo fanno anche certe scelte politiche, come quella per esempio del “reddito di cittadinanza” che sembrano fatte apposta per allevare una generazione di “figli della cultura dell’assistenzialismo” invece che dei giovani che vedano nel lavoro (magari nei trasporti e nella logistica?) un valore importante, un futuro? “Condivido questa opinione. Bisogna ricordare ai giovani che senza sacrifici non si raggiungono obiettivi; e il reddito di cittadinanza percorre esattamente la strada opposta”. Cosa ho dimenticato di chiederle? “Quanto sia importante una corretta informazione. Assisto a dei convegni creati per esaltare le figure dei partecipanti, ma che non producono risultati concreti. Ritengo che, i giornalisti di settore che scrivono o meglio appartengono al nostro mondo, debbano darci una mano per far conoscere all’opinione pubblica la reale importanza del trasporto in Italia; non solo quando vengono minacciati gli scioperi e ci si preoccupa dei supermercati vuoti. Siamo un anello fondamentale della catena produttiva, ma pochi lo riconoscono”.

Testo realizzato da Baskerville Comunicazione & Immagine srl per stradafacendo.tgcom24.it

13 risposte a “Se l’autotrasporto è ridotto così la colpa è dei troppi errori dei suoi imprenditori. E non solo

  1. Quindici anni fa i suoi colleghi imprenditori, col benestare delle associazioni e del governo, hanno smesso di investire sul personale italiano importando manodopera a basso costo, investendo in filiali in Est Europa e svendendo I viaggi. Per anni o accettavi un contratto Est Europa o uno stipendio ridicolo o non lavoravi. E non c’era il reddito di cittadinanza, questo e’ solo il vostro alibi per giustificare un problema che voi avete creato. Ora che neanche gli Est Europa vogliono fare questo lavoro, vi ritrovate scoperti. E io godo. Ora ci vogliono condizioni migliori e stipendi adeguati al lavoro effettivamente svolto, non continue lamentele e ricerca di facili soluzioni come incentivi e decreto flussi.

  2. Uno che afferma che il reddito di cittadinanza è un alibi degli imprenditori si commenta da se. Alessandro, lei e i suoi amici grillini i soldi dateli alle imprese perché li usino per assumere giovani disoccupati, per formarli, per dare loro un futuro, per trasmettergli il valore del lavoro e del guadagno sudato., senza che un domani debbano essere costretti a vivere di elemosine di Stato come il reddito di cittadinanza che i 5 stalle (non è un errore di battitura, per me questo sono…..) stanno distribuendo con straordinaria generosità (tanto non sono soldi loro, sono soldi che “rubano” dalle nostre tasche sotto forma di tasse spropositate….). Redditi di cittadinanza che vengono dati a a gente che intanto lavora in nero, a mafiosi e camorristi, a gente che ha le Ferrari in garage, perché anche loro sono elettori e perché regalandogli denaro è facile averli come elettori…..

    • Tra accise, incentivi,aiuti, sconti e detrazioni mi sembra che le imprese ne prendano anche di piu’ del reddito di cittadinanza. Oltre che io non ho mai espresso un giudizio in merito. Di certo la causa della mancanza di lavoratori non e’ dovuto a quello ma ai contratti allegri e le condizioni assurde. Le imprese assumevano in Est Europa, e noi pagavamo la disoccupazione. Le imprese prendevano gli incentivi per I mezzi, e poi li immatricolavano in Est Europa. Bene. Ora noi diamo soldi per formare la gente, bene bravi, e nel frattempo al primo decreto flussi stiamo punto a, capo perche’ non sapete far altro che cercare risparmio e guadagno.

  3. Per capire quanto sono cambiate, in peggio, le associazioni, basta guardare la comunicazione che stanno facendo… da quando è stato annunciato e poi non confermato (come ormai da manfrina consolidata….) lo sciopero del 4 aprile qualcuno ci ha più detto cosa sta succedendo “al tavolo” delle associazioni con la viceministro Bellanova? E’ semplicemente uno schifo… Col ….. che rinnovo la tessera…..

  4. Se più persone del settore comunicassero e lo facessero con la visione d’idee e la chiarezza d’esposizione dimostrate da questo operatore la categoria non sarebbe stata e non sarebbe ancora oggi giudicata – spesso purtroppo a ragione – di impfrenditori di livello medio basso se non basso.

  5. Ad Antonella: vorrei sottoporla a un quiz per sapere quanto e cosa legge delle comunicazioni che le federazioni diffondono. Non è obbligatorio leggere nè comprendere (a volte certe notizie sono difficili da assimilare): basta chiedere e non essere timidi. Si fa riferimento alla propria associazione di categoria per chiedere delle spiegazioni (semplice). Enzo è proprio la dimostrazione di quanto appena detto. Evidentemente non ha letto le circolari che sono state emanate in merito ma non si è evidentemente rivolto alla sua associazione per chiedere spiegazioni. Quindi smettiamola con la solita solfa di addossare ad altri responsabilità dei nostri comportamenti. Se voglio sapere i risultati delle squadre di calcio o guardo le trasmissioni sportive o leggo i giornali. Certo è più facile criticare ma non fare nulla e limitarsi a scaricare su altri le proprie inadempienze.

  6. Ho avuto modo di leggere un libro che la Fai di Bergamo ha scritto per raccontare i 50 anni di vita della federazione. Chiunque lo leggesse capirebbe l’importanza delle associazioni. Navigando sul vostro superblog e leggendo certi commenti mi viene spontaneo pensare a cosa potrebbe essere oggi il settore se non ci fosse stato chi ha assistito una categoria che, di suo, come proprio certi commenti testimoniano, non offre sempre e solo esempi di grandi capacità cerebrali…..

    • Nessuno discute sull’importanza delle associazioni, ma purtroppo, chi poi da vicino partecipa attivamente alle attività che si rendono necessarie, capita come in questi giorni, che qualcuno per i propri interessi personali, si permette di calpestare i diritti e gli interessi degli associati stessi. Lo stiamo vivendo proprio in questi giorni alla Fai proprio qui a Milano. E non si tratta assolutamente di incapacità celebrale. Un titolare addirittura premiato da Fai a Montecatini al cinquantesimo della stessa Fai. Ormai associato e partecipante alla vita associativa da oltre 35 anni.

  7. Giusta osservazione Antonella, ma evidentemente non gradita da chi, da anni, preferisce continuare il confronto con la Categoria, dall’alto della sua onnipotenza, dimenticando spesso che chi ha frequentato attivamente le Associazioni, spesso trascurando la propria azienda a favore degli altri, quando dedica il suo poco tempo per esprimere la propria opinione, merita la giusta attenzione, non foss’altro perchè ha sempre contribuito a pagare anche gli stipendi dei funzionari.

  8. Forse qualcuno pensa che solo le proprie idee siano quelle giuste e quindi deduce che tutto ciò che pensano o fanno gli altri sia da scartare o che sia sbagliato. E’ il caso di chi pubblica notizie che gettano solo discredito o che non accettano le decisioni della maggioranza. Eppure si dovrebbe sapere che in ogni realtà che rappresenta più persone, interessi alla fine le proposte che vanno avanti sono quelle che ottengono i maggiori consensi.
    poi vi sono quelli che diffondono notizie false come se fossero vere e magari le scrive anche e la diffonde.
    L e opinioni di tutti vanno ascoltate ma poi confrontate con quelle degli altri. Alla fine vince la maggioranza. Chi non riesce a comprendere questo fondamentale elemento o non conosce il valore della vita associativa oppure segue un altro scopo che solitamente fatica a trovare condivisione. certo che se si confonde l’onnipotenza con il consenso ampiamente riconosciuto…..

  9. Giovanni scrive che “ qualcuno per i propri interessi personali, si permette di calpestare i diritti e gli interessi degli associati stessi” e che tutto questo lo sta “vivendo proprio in questi giorni alla Fai proprio qui a Milano”. Qualcuno aiuta un” semplice associato” a capire cosa sta succedendo?, Perché messa così non si capisce davvero nulla. Grazie

  10. Quali interessi personali? E di chi? Quali diritti calpestati? E come? Se Giovanni non è un “baluba” chiarisca e faccia nomi e cognomi….

  11. Il problema di Giovanni non è di fare i nomi ma di provare, qualora li facesse, quello che sostiene. Come sempre sono i fatti e i pronunciamenti che parlano. Non credo che se qualche associato di Milano voglia saperne di più non troverà risposte. Esiste un segretario dipendente della associazione che è in grado di chiarire tutti i passaggi. Giovanni chieda appuntamento e immagino che lo avrà.

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