Crisi Artoni: per i dipendenti ci sono gli aiuti, ai trasportatori che fornivano servizi invece nulla?

La crisi del Gruppo Artoni, esplosa ormai un anno fa, sembra aver imboccato una strada destinata a rasserenare, almeno in parte (grazie all’accordo che  assicura la cassa integrazione), oltre un centinaio di ex-dipendenti dell’azienda di autotrasporti, ma la stessa cosa non può certo dirsi per gli autotrasportatori ai quali Artoni ha appaltato in passato moltissimi lavori. Circa 2500 lavoratori dell’indotto per i quali non c’è alcuna garanzia di pagamento e per i quali il presidente della Fai Conftrasporto Lombardia, Antonio Petrogalli, chiede alle istituzioni di intervenire attraverso “idonei strumenti per sostenere anche questi lavoratori per evitare un dramma sociale che investe tutto il territorio nazionale”. Perchè, sottolinea Antonio Petrogalli, “quando un’impresa entra in difficoltà, a pioggia scaturiscono problemi per tutto l’indotto, sia per quanto riguarda fallimenti”. Concetti che l’uomo che da decenni rappresenta in provincia di Brescia (e non solo) una delle bandiere dell’autotrasporto nazionale, ha ribadito in una lettera aperta inviata alla stampa. Ecco il testo integrale. “Egregio direttore, quale presidente regionale della Fai, poiché in Lombardia c’erano numerosi punti di logistica dell’Artoni, vorrei fare il punto della situazione che si è creata. A quasi un anno dall’avvio formale della crisi del Gruppo Artoni e dopo un percorso complesso, il 7 settembre è stato finalmente firmato l’atto che  assicura la cassa integrazione per i 116 ex-dipendenti  di Artoni Trasporti che hanno deciso di non licenziarsi. Durante l’incontro, l’amministratore straordinario nominato dal Tribunale il 28 luglio, ha comunicato che  non ritiene possibile proseguire l’attività  dell’Artoni Trasporti e che quindi avvierà la vendita degli asset, che consistono in alcuni impianti e per i quali ha già ricevuto manifestazioni d’interesse da parte di società della logistica. Nell’accordo firmato, i sindacati hanno ottenuto che il personale dipendente dei vari siti di Artoni Trasporti sia in qualche modo collegato alla cessione dell’impianto, così da  mantenere il lavoro anche sotto il nuovo proprietario e che vengano pagati gli stipendi di luglio, per i quali finora i lavoratori hanno ricevuto un acconto. Per agosto, invece, le retribuzioni sono assicurate dalla cassa integrazione, che se possibile sarà a rotazione.La F.A.I. è contenta che i dipendenti con gli ammortizzatori sociali e con i pagamenti dell’azienda possano recuperare i loro stipendi, anche se pur tra mille difficoltà, però noi non possiamo dimenticare la grave situazione dell’indotto, ossia delle imprese che fornivano ad Artoni servizi di movimentazione nei magazzini e di autotrasporto. Oltre al dramma dei dipendenti, una situazione analoga viene vissuta infatti da circa 2.500 addetti occupati su tutto il territorio nazionale negli appalti e nei servizi di magazzinaggio e trasporto. Un esempio di alcuni anni fa ha riguardato la Riva in Valcamonica, dove a fronte di 400 dipendenti c’erano circa 1000 automezzi i cui conducenti sarebbero rimasti senza stipendio.Serve un intervento tempestivo affinché tutti gli autotrasportatori dell’indotto possano ricevere il pagamento delle fatture in sospeso da luglio 2016 e possano rientrare nei posti di lavoro perché a loro volta sono datori di lavoro e ai loro dipendenti non pensa nessuno! Quando una fattura non viene onorata per noi è un disastro. Bisogna sempre ricordare che quando un’impresa entra in difficoltà, a pioggia scaturiscono problemi per tutto l’indotto, sia per quanto riguarda fallimenti, sia per quanto riguarda i famigerati concordati di continuità.La F.A.I. chiede che vengano individuati, in sede istituzionale, idonei strumenti per sostenere anche questi lavoratori per evitare un dramma sociale che investe tutto il territorio nazionale. Nella filiale di Brescia risulta siano rientrati solo 4-5 automezzi sulla trentina di padroncini che vi lavoravano in precedenza”.

7 risposte a “Crisi Artoni: per i dipendenti ci sono gli aiuti, ai trasportatori che fornivano servizi invece nulla?

  1. In Italia ci sono sempre stati cittadini e lavoratori di serie A e di serie B. Prendete i dipendenti statali: illicenziabili, tanto i loro stipendi finiscono nel calderone del debito pubblico. Ai lavoratori di aziende private se i conti sono in rosso ( anche moltissimo meno di quelli pubblici) una lettera di licenziamento e addio…

  2. E poi ci domandiamo perché chi lavora nelle piccole imprese guarda storto chi ha il posto sempre comunque assicurato da Pantalone…

  3. La situazione denunciata dal signor Petrogalli a Brescia è comune a tutto il resto d’Italia, con migliaia di piccole imprese e di loro dipendenti, di padroncini che nessuno tutela. La differenza è che nel resto d’Italia non si sono persone che , come ha fatto invece il signor Petrogalli, dedicano tempo ed energie a cercare di tutelate i propri associati, i propri colleghi… È’ triste ma è così. Vorrei avere anch’io un presidente come ce l’ha la Lombardia

  4. Piantatela con questo dualismo lavoratori pubblici lavoratori privati. Sono diversificazioni da mentecatti, siamo tutti sulla stessa barca, lavoriamo tutti in un mare di problemi. Non pensiate che nelle pubbliche amministrazioni siano rose e fiori. E se proprio la pensate così provate a partecipare a un bel bando pubblico. Vi divertirete un sacco….

  5. Ho la netta sensazione che ci siano federazioni che fanno molto per i propri associati e altre alle quali interessi solo avere le quote associative dagli autotrasportatori…. beati i bresciani che hanno avuto la fortuna di avere il signor Petrogalli e tutta la “squadra” che nei decenni ha saputo costruire. Migliaia di iscritti non si costruiscono con le chiacchiere ma con i fatti….

  6. Ma perché queste cose le denunciano solo Petrogalli e pochi altri? Ci sono situazioni analoghe in altre zone del Paese: forse lì non ci sono presidenti o segretari di federazioni di categoria che hanno la testa e le palle per intervenire?

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