Se il Governo non parte subito si fermerà anche l’economia e l’Italia perderà miliardi di euro

“Bisogna che il Governo si adoperi per trovare sorgenti di lavoro, per far sì che tutti gli italiani abbiano un’occupazione. Questo è quello che deve fare il Governo, questo è quello che deve fare il Parlamento”. Fa un effetto strano rileggere, a 35 anni dalla sua lettura in tv, questo passo del messaggio di fine anno agli italiani dell’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. Un effetto reso ancor più strano (ma anche triste e perfino deprimente) se riletto alla luce di una situazione attuale nella quale la nostra classe politica sembra fare esattamente il contrario. Già, perché non essere riusciti, a quasi tre mesi e mezzo dal voto, a fare un governo, possibilmente stabile e credibile, non fa volare solo lo spread: fa accelerare al massimo anche i problemi di milioni di lavoratori. Con in prima fila le imprese dell’autotrasporto e della logistica che stanno subendo una spietata concorrenza di competitori stranieri facilitati non solo da costi del lavoro nettamente inferiori (e, in molti casi, da una fortissima vocazione alla concorrenza sleale), ma  anche dalla situazione di stasi che si verifica ogni qual volta viene a mancare il riferimento politico. Per qualche giorno è sembrato che fosse stata trovata la soluzione che avrebbe consentito di dare un Esecutivo al Paese ma così non è stato. La scelta del presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stata conseguentemente quella di fare ricorso all’esperienza di un governo tecnico per affrontare temi che se non affrontati metterebbero in seria difficoltà il Paese. Un esempio chiarificatore: le decisioni del governo austriaco sulle limitazioni al traffico al Brennero che hanno già mostrato quali effetti devastanti potrebbero determinare per la nostra economia qualora un Governo forte italiano non intervenisse. Ogni anno transitano 200 milioni circa di tonnellate di merci attraverso i valichi alpini per un valore pari a 524 miliardi di euro. Di queste merci il 60 per cento passano attraverso i valichi austriaci. E se vi fosse ancora qualcuno che nutre dubbi su quanto i rallentamenti danneggino l’economia italiana e le imprese del trasporto su gomma, questi dati dovrebbero fugarli: basta una sola ora di ritardo per produrre per il mondo dell’autotrasporto 170 milioni di euro di costi extra, mentre per l’intero sistema produttivo il danno sale a quota 203 milioni. Numeri sufficienti per esigere una maggior determinazione? Ma il governo tecnico dovrà affrontare anche il problema dei trasferimenti alle imprese di risorse dello Stato. Se si pensasse di non mantenere i livelli in atto per compensare il maggior carico fiscale la risultante sarebbe di indurre le imprese a rifornirsi all’estero facendo perdere non solo i pochi centesimi (0,21 al litro, ma da moltiplicare per milioni di litri di carburante al giorno) ma tutta la restante parte fiscale che grava sul gasolio. Senza contare che verrebbero messe in ginocchio stazioni di autoservizio italiane, con altri lavoratori lasciati a piedi. Infine il tema delle infrastrutture. Appare ovvio che di fronte ad accordi tra i governi europei che prevedono dei precisi impegni finanziari, se non fossero rispettati avrebbero due conseguenze; la prima, fin troppo evidente, riguarderebbe le penali che verrebbero chieste per i danni arrecati non realizzando la Tav o il ponte sullo Stretto, roba da oltre due miliardi e mezzo di euro; la seconda, che appare essere invece poco considerata (e dunque poco visibile al grande pubblico) sarebbe la conseguente determinazione di imbuti sugli altri valichi, determinando congestioni e conseguente perdita di tempo e di competitività. Forse pochi ne saranno informati, ma nel 1999, quando il traforo del monte Bianco venne chiuso per l’incendio che si sviluppò, il danno determinato per l’economia nazionale venne calcolato in 3 miliardi di euro. Forse sarebbe il caso che prima di affrontare i temi legati alle infrastrutture il governo che entrerà in carica valuti questi elementi ai quali Conftrasporto sente il dovere di aggiungerne un altro per nulla irrilevante: la reazione da parte degli operatori che si sentirebbero evidentemente colpiti da scelte penalizzanti e potrebbero, anche in forma autonoma, ricorrere ad azioni eclatanti di autotutela. Perché sono sempre più numerosi gli autotrasportatori, gente a volte non troppo acculturata, a pensarla esattamente come un  uomo invece di grandissima cultura, il filosofo Karl Popper, secondo il quale “una nazione è democratica quando è capace di privare del potere i suoi governanti incapaci.” Un rischio da evitare? Quanto sta accadendo in Brasile, dove la protesta dei camionisti che sta paralizzando il Paese da una settimana ha causato perdite economiche per quasi 10 miliardi di reais, ovvero a 2,7 miliardi di dollari, sembrerebbe non lasciare dubbi.

Paolo Uggé, presidente Fai e vicepresidente Confcommercio

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