La Cgil: così in Italia resterà solo l’autotrasporto più povero

Il gruppo Arcese minaccia di lasciare l’Italia con la sua grande impresa di autotrasporto, dal gruppo Gavio spiegano come oggi sia quasi impossibile stare su un mercato drogato dalla concorrenza straniera senza aiuti. Un problema che conosce molto bene il sindacato. “Il rischio è reale non solo per i grossi gruppi come Arcese e Gavio, andando avanti di questo passo in Italia rimarrà soltanto l’autotrasporto cosiddetto povero, i padroncini e i corrieri dell’ultimo miglio” commenta, seriamente preoccupato, Michele Azzola, segretario nazionale della Filt Cgil che segue proprio il trasporto merci. Preoccupazioni che riguardano anche l’occupazione dei tanti addetti del settore.

“Dal punto di vista dei lavoratori, oggi con le aziende strutturate stiamo gestendo con grande fatica gli ammortizzatori classici. Una cosa è certa: per tornare ai livelli del 2007 ci vorrà del tempo. Quindi alcune imprese dovranno riorganizzarsi, altre delocalizzare”. Delocalizzazione che ha interessato il settore già da tempo, ma nel caso di Arcese, per esempio, si rischia un vero e proprio addio… “Purtroppo siamo giunti a questo punto”,  prosegue il segretario nazionale della Filt Cgil, “il  nostro impegno è massimo, già in altri settori tutto è nelle mani delle multinazionali e non esistono più realtà del nostro Paese. Nell’autotrasporto si rischia di arrivare al punto in cui tutte le merci verranno consegnate da aziende estere, mentre oggi sul territorio ci sono 140mila imprese”. Proprio sulla frammentazione della categoria (troppe imprese, ma anche troppe sigle che le rappresentano) punta il dito l’esponente della  Cgil. “Il problema vero dell’autotrasporto è che i governi di centrodestra e centrosinistra non hanno mai voluto qualificare i contributi alla categoria. Sono stati erogati finanziamenti a pioggia senza aiutare le imprese strutturate. I soldi a pioggia non servono a nulla. Anzi paradossalmente mettono tutti in crisi. I piccoli cercano di arrangiarsi in tutti i modi, c’è chi evade le tasse, Iva e Irpef per esempio”, sottolinea sempre Michele Azzola. “Le grosse aziende invece, che già sentivano la concorrenza dell’estero, hanno l’acqua alla gola. Abbiamo chiesto un incontro con il Governo specifico sul cedimento delle imprese strutturate. Una situazione che il settore sta vivendo ormai da mesi. Le medie e grandi aziende hanno costi fissi che non è possibile comprimere”. E se Eleuterio Arcese puntava il dito soprattutto sulla concorrenza straniera, secondo Michele Azzola c’è anche una pericolosissima concorrenza interna. “L’Italia vive la concorrenza tra imprese strutturate e le piccole, che lavorano sottocosto e hanno fatto crollare le tariffe”, spiega il segretario nazionale della Filt Cgil. “A questo si aggiunge la competizione con Paesi dove il costo del lavoro è molto più basso, come Polonia, Romania, Ungheria, Slovacchia. Il Governo faccia una scelta: se continua in questa direzione a dare soldi a pioggia quando le aziende urlano al fermo non si andrà da nessuna parte. Lo Stato deve aiutare prima di tutto le imprese strutturate e in regola. Oggi ci sono rimborsi autostradali per tutti, anche per gli artigiani che non ne avrebbero diritto”. Com’è il rapporto tra il sindacato e le associazioni di categoria? “Direi faticoso, per il sindacato, ma anche per il Governo. L’autotrasporto deve ridurre le sigle, non possono esserci 16 sigle, anche perché ciascuna di queste avrà rivendicazioni sue. Con un paio di realtà rappresentative delle aziende medie e grandi stiamo cercando di costruire una richiesta unitaria da presentare al Governo. La prossima settimana avremo nuovi incontri, ora serve il buon senso più delle minacce di fermare i camion. Iniziamo ad aiutare chi è strutturato, fa occupazione e muove l’economia, e cerchiamo, tutti insieme,  di arginare il pericolo che molte imprese abbandonino il nostro Paese trasferendo le attività oltre frontiera”.

4 risposte a “La Cgil: così in Italia resterà solo l’autotrasporto più povero

  1. Sono un padroncino, ma non dell’ “ultimo miglio” e tanto meno povero e sopratutto non sono povero di cervello, non vado ad abbassare i prezzi per portare via i viaggi a colleghi, cosa che sistematicamente sta avvenendo adesso più di prima. Sono risentito da quello che ha detto il segretario nazionale della Cgil, signor Azzola, perchè le tasse (Iva, Irpef) io, da padroncino, con quattro dipendenti le ho sempre pagate. Non facciamo di tutta un’erba un fascio perchè allora anche sulle aziende grosse e strutturate c’è da dire, vedi, per esempio, una grossa azienda del novarese che faceva pagare l’affitto della cabina dei camion ai suoi dipendenti stranieri e intanto abbassava i prezzi dei viaggi (operazione il cui risultato è una concorrenza sleale). Questa grossa azienda strutturata ha lavorato ancora fino a qualche mese fa, saltando e lasciando una marea di gente da pagare. In conclusione: danno per chi ha lavorato, per lo Stato e per la categoria. Ma ci sono anche grosse aziende strutturate che aprono veri e propri uffici di collocamento nei Paesi dell’Est targando propri mezzi in questi Paesi e cosi facendo si garantiscono meno costo di mano d’opera (uguale sempre concorrenza sleale). Il signor Azzola si faccia carico di questi problemi, visto che è della Cgil, invece di sparlare verso noi padroncini e affermare che abbassiamo le tariffe, evadiamo le tasse e che noi artigiani non abbiamo diritto agli sconti autostradali. Faccia un’indagine e conti quanti dipendenti abbiamo noi padroncini: sono sicuro che anche tra di noi ci sono quelli che abbassano le tariffe o si arrangiano, come ha affermato il signor Azzola, ma ci sono anche tra le aziende grosse e strutturate. A volte a discapito dei dipendenti che i sindacati dovrebbero rappresentare invece di prendere le parti delle grosse aziende di trasporto a discapito di noi padroncini artigiani.

  2. Da padroncino vorrei dare qualche risposta (unitamente a qualche o domanda) al signor Azzola. I padroncini possono essere anche ditte strutturate nel limite (15 dipendenti) e non pubblicizzate come Arcese o Gavio (la publicita’ costa, ma anche la sicurezza: o una o l’altra). La differenza consiste nel fatto che i padroncini sono accompagnati dagli studi di settore da tempo, mentre le grosse imprese chiudono i bilanci a zero e poi rimane tutto a carico del Governo (perche’ dovuto). Dei famosi ammortizzatori classici chi ha usufruito di piu’? I padroncini o altri?
    Ci sono padroncini monoveicolari sfruttati dalle grosse flotte e messi in condizione di non poter andare avanti ma nemmeno indietro (non rispettare ore di guida, pause, sicurezza, pagamenti erario, tasse ecc..): forse la vera concorrenza sleale e’ questa.
    I vantaggi, scomparendo i padroncini, per i signori della Filt Cgil, sono semplice ed evidenti: e’ piu’ semplice fare tessere ai grossi (meglio fare 100, 1000 tessere in un solo colpo imponendola ai dipendenti) piuttosto che rincorrere i padroncini a vuoto. Forse i sindacalisti dovrebbero fare meglio il loro servizio, o almeno quello per cui si vendono.
    Ci sono anche tanti padroncini o corrieri che non hanno nemmeno mezzi e fanno concorrenza sleale sfruttando di tutto e di piu’, e questo e’ consentito.
    Che poi il Governo debba scegliere mi sembra assurdo, visto che si vive in un Paese democratico e tutti hanno diritto di lavorare per guadagnare onestamente e non con introiti (se non mi dai, licenzio !)
    Comunque non c’è bisogno del fermo per fermare i Tir, fermi (per mancanza di lavoro) lo sono gia’. Forse qualcuno dovrebbe chiedersi il perche’ di tutto questo.
    E se qualcuno avesse fatto meglio il suo lavoro, non tenendo i piedi in troppe scarpe e dando aiuti sbagliati, forse i padroncini non sarebbero cosi’ penalizzati e soffocati.

  3. Non v’è dubbio che la situazione del settore sia oggettivamente pesante. I dati che derivano da una indagine effettuata dalla Fai e presentata nel corso dell’incontro con il Governo nella scorsa settimana, hanno trovato conferme sia dagli interventi di alcune imprese significative sia dall’intervento del segretario nazionale di Filt-CGIL.
    Le sue osservazioni, anche se un po’ troppo vicine alle tesi di coloro che hanno sempre sfruttato, e che ancora lo fanno, le piccole imprese, contengono delle verità. Si dimentica quello che è uno degli elementi più incidenti esistente da anni nel Paese e che gioca un ruolo pesante negli sviluppi delle negatività esplose. Parlo del costo del lavoro che fa registrare delle differenze medie nei confronti dei nuovi Paesi entrati in Europa che oscillano intorno ai 25mila euro anno per dipendente. Se a questo aggiungiamo il costo del gasolio, il più elevato a livello europeo dopo l’Inghilterra, ci troviamo di fronte a un quadro chiaro ma non semplice da superare.
    Osservo poi che viene totalmente dimenticato come le imprese strutturate vengano messe in difficoltà sempre più da imprese che effettuano spedizioni o logistica. Le quali, pur di ottenere un contratto, si offrono a prezzi insostenibili che poi vendono a piccole imprese nazionali o, e questo avviene nella maggior parte dei casi,a piccoli imprenditori esteri che sono certamente più competitive delle nostre.
    Gli interventi del Governo, definiti a pioggia, hanno consentito alle imprese di autotrasporto di restare sul mercato, pur se a fatica, fino a oggi. Questo non significa che la logica di premiare la crescita debba essere abbandonata ma che un Stato, per una serie di ragioni, non esclusa anche quella di ordine pubblico, deve operare per prevenire ciò che invece sempre in questi momenti si sta verificando: la progressiva sostituzione delle imprese nazionali a piccola dimensione con identiche ma provenienti dai nuovi Paesi e la contemporanea delocalizzazione invece di quelle strutturate.
    Una soluzione immediata è allora quella di dare in questi mesi liquidità certa alle imprese. Lavorare poi per ottenere un contratto di lavoro unico europeo e impegnarsi tutti per avviare una politica dei controlli che eviti ogni forma di concorrenza sleale.
    E’ vero poi che nel settore esistono troppe realtà di rappresentanza, anche se noi di Fai, Unitai, Fiap/L abbiamo fornito un esempio concreto non emulato, ma il segretario di Filt sa anche che le realtà esistenti concretamente non sono molte di più.
    Noi siamo disponibili ad aprire un confronto con tutti, purché si parta dalla necessità di operare per garantire il permanere in attività delle imprese nazionali ed essendo disposti, anche le organizzazioni sindacali, a condividere e sostenere una parte di sacrifici. Se così non sarà, presto anche le rappresentanze storiche dei lavoratori si troveranno ad aver poche entità da tutelare con sempre meno possibilità di incidere, anche perché il mercato sarà gestito o da realtà estere o da intermediari nazionali che sfrutteranno i nuovi soggetti come in tutti questi anni hanno fatto con le piccole imprese italiane. Forse una grande alleanza tra organizzazioni di categoria del mondo dell’autotrasporto, del mondo produttivo, delle organizzazioni dei lavoratori, che escluda gli intermediari, potrebbe essere una strada nuova che, insieme agli interventi necessari, potrà generare opportunità alle nostre imprese.
    Paolo Uggè

  4. Purtroppo la continua corsa al ribasso ci sta portando alla chiusura, le aziende di grandi dimensioni costringono i piccoli, che non dovrebbero accettare determinate condizioni, a lavorare sottocosto. Si stanno creando situazioni di schiavismo e di caporalato che non daranno nemmeno frutti sotto l’aspetto di qualche assunzione in piu’. Come dice Paolo Ugge, tra poco non ci sara’ piu’ chi paga le tessere del sindacato e nemmeno chi paghera’ le tasse, perché i pirati non pagano le tasse. Due parole anche al nostro amico sindacalista in proposito a chi abbassa le tariffe: le aziende, signore mio, sanno benissimo quanto costa un dipendente al giorno e conoscono anche le altre spese, quindi sanno benissimo che sotto certe cifre costringono chi accetta a morire di fame. Poi arriva un altro pirla che abbassa ancora un pochino. Auguri.

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