Quell’ultimo treno da Bergamo: scalo merci addio dopo 30 anni passati senza trovare soluzioni

“Quel treno per Yuma” è il titolo di un famosissimo film, girato nel 1957 e “rifatto” esattamente mezzo secolo più tardi con Russell Crowe e Christian Bale, in cui si narra la storia di un  allevatore in gravi difficoltà economiche costretto ad accettare di scortare un pericoloso fuorilegge pur sapendo che quello potrebbe essere il suo ultimo viaggio, viste le altissime probabilità di finire ucciso dai complici del bandito disposti a tutto per liberarlo lungo la strada verso il penitenziario. Quell’ultimo treno da Bergamo potrebbe essere invece il titolo per raccontare la storia della chiusura dello scalo merci cittadino che lunedì 4 settembre vedrà partire l’’ultimo convoglio, carico di materiali di recupero, alla volta della Svezia prima della chiusura. definitiva. Ultimo capitolo di una storia, per moltissimi versi incredibile, nella quale appare anche più difficile che nel celebre film  western  immaginare un lieto fine. Già, perché nonostante quella dello scalo merci bergamasco sia una vicenda che da quasi trent’anni attende una “svolta”, la chiusura avverrà senza offrire un’alternativa ai moltissimi autotrasportatori che hanno scelto il trasporto combinato asfalto-rotaia,  con la conseguenza che le difficoltà che il mondo dell’autotrasporto si trova già ad affrontare saranno destinate a moltiplicarsi. E, ciiliegina sulla torta, Il tutto “alla faccia” della tanto invocata svolta green, dei bellissimi proclami fatti per togliere merci dalle strade e autostrade per farle viaggiare su rotaia.
“Il peggior finale possibile, come commenta Andrea Callioni, consigliere della Fai, la federazione autotrasportatori italiani, di Bergamo e amministratore unico di Cisaf, una delle due società che gestiscono il trasporto combinato nelle scalo cittadino, “ma anche un finale che lascia allibiti per come tutta la vicenda è stata gestita: perdendo per strada nei decenni qualsiasi possibile soluzione e arrivando, alla fine, quasi ad affermare che la “colpa” di tutto questo andrebbe attribuita a chi lavora e non alla politica che, di lavoro, dovrebbe proprio risolvere i problemi di tutti. O forse dovrebbero essere i privati a progettare e realizzare, al posto loro, le infrastrutture?” Il riferimento è a una dichiarazione del sindaco della città, Giorgio Gori, secondo il quale le associazioni non sarebbero state “proattive”… “Stendiamo un pietoso velo sull’incapacità, della politica, di diversi “colori” per quasi trent’anni di dare una risposta alla domanda di un maggiore e migliore trasporto su rotaia”, ribatte  Andrea Calllioni, e guardiamo ai fatti. Le possibili soluzioni al problema passavano dalla possibilità di realizzare un nuovo scalo a Terno d’Isola, a Verdello o a Cortenuova. Tramontata la prima erano rimaste in campo, dopo anni,  le altre due , ma sull’ipotesi Verdello, che sembrava realizzabilissima con soddisfazione di tutti, c’è stata l’opposizione dell’amministrazione di Levate, paese coinvolto peraltro solo per una strada d’accesso, che ha mandato tutto all’aria quando erano stati trovati perfino investitori privati disponibili a finanziare l’intera operazione. E per quanto riguarda Cortenuova, altra possibile soluzione  alla quale qualcuno invita ancora a guardare come fattibile, il mondo dell’autotrasporto risponde che per ora di concreto non c’è nulla, solo parole. Nessun progetto, nessuna approvazione. Dal giugno 2020 aspettiamo la conferma dell’accordo di programma. Una “semplice idea”  per la quale,  se anche dovesse  concretizzarsi, occorre comunque prevedere una tempistica difficilmente inferiore ai due anni, durante i quali per le aziende produttrici e per le imprese di trasporto che fanno viaggiare le loro merci tutto diventerà maledettamente più complicato e più costoso. Un esempio? A una settimana dalla chiusura dello scalo merci cittadino   un’impresa mi ha chiesto un preventivo per un “viaggio” da fare nelle prossime settimane: scegliendo come interporto quello di Brescia , sempre a condizione di trovare una disponibilità, il costo della spedizione è passato da 7000 a 15 mila euro. E, sempre a proposito della “reale fattibilità” del nuovo scalo a Cortenuova”, prosegue Andrea Callioni, “ricordo che tre mesi fa è stata avanzata alla Provincia un’altra possibile soluzione per sbloccare la situazione: far partire, in attesa del possibile Interporto, almeno lo scalo merci, intervenendo su un’area di 30mila metri quadrati peraltro già industrializzata. Sembrava un’ìpotesi di buon senso, per dare almeno una prima risposta con creta al territorio ma non abbiamo avuto nessun riscontro. O meglio: è arrivata la conferma della chiusura senza ulteriori proroghe decisa perché, è stato affermato, la scadenza era questa e si sapeva. Ma dimenticandosi di dire che nel frattempo non si era stati capaci (perchè questa è la vera verità, perchè qui siamo di fronte a un caso d’incapacità politica) di trovare un piano credibile, condivisibile”. Aggettivi che, tiene a sottolineare Andrea Callioni, non possono essere certo utilizzati per un’altra possibile , – ma solo per la politica  – soluzione: “utilizzare lo scalo di Rovato. L’anno scorso quando a un tavolo di confronto è stata ventilata questa ipotesi”, ricorda il consigliere della Fai e amministratore di Cisaf, “mi sono rivolto a un rappresentante di Rfi chiedendogli: ma lei c’è mai stato a Rovato? Lui mi ha detto no. Gli ho detto che io invece ci sono stato un sacco di volte, ci ho lavorato e che quella soluzione era impraticabile. La controrisposta? “Prendiamola comunque in esame perchè è l’unica soluzione e proviamo ad andare avanti. Peccato che ci sia un sottopasso dell’altezza di pochi metriche impedisca il passaggio ai trasporti eccezionali, cancellando così già in partenza una consistente fetta di viaggi. “Dettagli” che forse la politica non conosce, non sa, mentre sapeva benissimo che occorreva cercare un’altra soluzione, ma non l’ha fatto. Per poi comportarsi, oggi, come se dovessero essere gli autotrasportatori, la categoria a realizzare le infrastrutture. E, allora, la domanda sorge spontanea: la politica cosa ci sta a fare?”. E adesso? “Adesso Bergamo si ferma e a chi deve far viaggiare le merci non resta che sperare che si aprano della disponibilità negli scali di altre città, con costi ovviamente maggiorati fino a raddoppiare e oltre, con chilometri moltiplicati su strada e dunque maggior inquinamento. E questo in una provincia manifatturiera tra le più produttive d’Italia, condannata a restare senza la sola infrastruttura essenziale quando Milano e Brescia hanno una decina di raccordi a testa. Senza contare che ci sono centinaia di persone, fra lavoratori diretti e indotto i cui stipendi non sono esattamente più troppo sicuri”.  “La chiusura dello scalo merci certifica il fallimento della politica amministrativa e imprenditoriale bergamasca”, è la “sentenza finale” fatta da Doriano Bendotti, segretario provinciale della Fai“. Sono  trent’anni che si parla di un nuovo interporto e chissà quanto tempo ancora dovrà passare per trovare una soluzione, sempre che venga trovata. Qualche esponente politico ha commentato che sul futuro dello scalo merci serve tenere vivo il dibattito politico? Quello che va tenuto in vita è il lavoro della gente, di chiacchiere ne abbiamo sentite fin troppe”.

 

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