Autotrasportatore in fuga da Napoli: “Lì gli uffici pubblici impediscono di lavorare”

“Vado via da Napoli per colpa di gente come voi, perché voi siete la vergogna di Napoli e dell’Italia, perché è per colpa vostra se in molti continuano ad avere di Napoli e del Sud Italia un’immagine devastante, di gente che non fa nulla, che lavora per finta anche se lo stipendio dallo Stato a fine mese lo intasca vero…”. Non ha certo lasciato la sede della Motorizzazione civile di Napoli con il sorriso sulle labbra e non si è certo accomiatato amichevolmente, in particolare da un suo dipendente, Angelo Panico, titolare di un’impresa di autotrasporto che lavora nel settore calcestruzzi, ma un risultato almeno l’ha ottenuto: risolvere finalmente l’ultima pratica rimasta aperta con quell’ufficio statale e trasferire tutto al Nord, dove, spiega raccontando la sua storia di straordinaria malaburocrazia e inefficienza del sistema Paese, “i problemi non mancano, ma almeno si tenta di risolverli”. Lavorando, per consentire anche agli altri di lavorare. 

Cosa che a Napoli, giura, può risultare un’impresa se si ha la sfortuna di avere a che fare con un ufficio pubblico dove il lavoro “è un optional”. E come conferma la storia che racconta a Stradafacendo.tgcom24.it. “La storia di un autotrasportatore proprietario di un nuovo mezzo acquistato, e semplicemente da immatricolare per poter lavorare, che si trova a dover affrontare attese di mesi, prima di poter avere un benedetto foglio di carta e di poter mettere in strada quel camion”. E questo solo perché esasperato da questa situazione è arrivato al punto da minacciare l’intervento delle forze dell’ordine. “Già perché quando uno dei dipendenti della Motorizzazione mi ha detto che avrebbe chiamato i carabinieri se non mi fossi calmato gli ho risposto di non disturbarsi perché i carabinieri li avrei fatti intervenire io”, conferma Angelo Panico. “Così magari avrei avuto modo di spiegare anche a loro che mentre da mesi la mia pratica non era riuscita a “percorrere” i pochi metri che separano il pianterreno dal secondo piano, per raggiungere l’ufficio ed essere esaminata, qualche dipendente dell’ufficio era presissimo a completare un videogioco al cellulare….”. Un esempio di malaburocrazia che ha letteralmente “schifato” Angelo Panico, al punto da spingerlo ad andarsene da Napoli per trasferire la sede principale dell’azienda (e quindi tutta la parte amministrativa), a Mantova dove aveva aperto già da quattro anni una sede secondaria. “Letteralmente schifato dall’andazzo”, commenta senza giri di parole Angelo Panico, “incapace di continuare ad assistere impotente a una vicenda che mostra fin troppo bene come ci sia un’Italia che tenta ogni giorno faticosamente di lavorare e un’altra che pensa solo a frenarla: un’Italia fannullona, ignorante e pure ladra, perché chi in ufficio passa il tempo con i videogiochi lo stipendio lo ruba”. Un’Italia pubblica che lo Stato dovrebbe mettere nel “mirino” e che invece sembra continuare imperterrita a voler proteggere. Un’Italia di cui Angelo Panico è stato vittima per mesi. “Tutto è iniziato a giugno 2016 con la decisione di acquistare  un nuovo mezzo, da immatricolare ovviamente al più presto per poterlo mettere su strada”, racconta Angelo Panico. “Come avviene in questi casi ho predisposto tutta la pratica necessaria, compresi ovviamente i documenti che ogni impresa di autotrasporto deve fornire, in simili occasioni, alla Motorizzazione per dimostrare e aggiornare le informazioni in merito alla propria onorabilità e capacità finanziaria”. Documenti che, senza sudare troppe camicie, possono essere facilmente e rapidamente verificati in modo da consentire, di norma, una “risposta entro un paio di settimane”. Dopo qualche mese, invece, Angelo Panico, che pure si era “portato avanti presentando le pratiche a giugno, quando la scadenza sarebbe stata al 31 luglio”, non aveva avuto ancora alcuna risposta e questo nonostante le ripetute sollecitazioni. Ma era solo l’inizio della via crucis burocratica. Già, perché a dicembre, con la nuova betoniera ferma, perché non immatricolata, ormai da settembre, quando gli era stata consegnata dalla concessionaria, Angelo Panico si è sentito rispondere che “la documentazione non era in regola”. “La società garante, suggeritami dalla Federazione autotrasportatori di Brescia alla quale nel frattempo mi ero iscritto, e che ha predisposto migliaia di pratiche analoghe in mezza Italia, mi ha assicurato che era tutto a posto”, sottolinea l’imprenditore “fuggito” da Napoli, “ma all’ufficio della Motorizzazione mi hanno detto che quella società non era presente nel loro elenco di società autorizzate”. Elenco che un solerte impiegato ha prontamente fornito ad Angelo Panico perché potesse scegliere un nuovo consulente, rifacendo di fatto la pratica. Che questa volta, è risultata regolarmente predisposta e compilata. “Forse perché avevo accolto l’invito a rivolgermi a una delle società napoletane del loro elenco…”, ironizza l’autotrasportatore, che ha perso però qualsiasi voglia di ironizzare e tantomeno sorridere quando da Mantova ha dovuto precipitarsi a Napoli dove, al momento di chiudere la pratica relativa al trasferimento della sede da Napoli a Mantova, qualcuno si è dimenticato di cancellare la sua posizione dal ruolo di preposto. “E io, visto che si può fare il preposto responsabile alla direzione trasporti per una sola società, risultando ancora responsabile della società a Napoli non potevo farlo a Mantova nonostante qui avessi ormai trasferito la direzione e nonostante la società a Napoli fosse stata cancellata dall’albo degli autotrasportatori”. Nuovo giro di telefonate di protesta, nuovi documenti da predisporre (e dunque nuove spese), prima di risolvere l’ennesima “grana” e solo “grazie all’intervento diretto della direzione generale dell’Albo a Roma. In 15 giorni dopo tutto è stato risolto, ma sommando tutto siamo di fronte a mesi buttati via per un lavoro di pochi giorni se non ore”, conclude Angelo Panico, che non vuole neppure pensare all’ipotesi che l’ultimo errore possa essere stato una forma di ripicca fattagli perché ha “alzato la voce e ha fatto valere le proprie ragioni”. Gli basta (e avanza) sapere che finalmente il “caso Napoli” è solo un ricordo, anche se brutto. “Un modo di gestire gli uffici pubblici di cui dovremmo solo vergognarsi”, ribadisce Angelo Panico che da napoletano confessa di vergognarsi di questa “faccia” di Napoli. Città che però, giura, ha anche altri volti molto più positivi. “Questa è una storia a se che ha i suoi protagonisti ben precisi, sarebbe sbagliato e stupido fare di tutta un’erba un fascio”, dice, augurandosi in cuor suo che in questo benedetto Paese “prima o poi qualcuno vada a vedere chi sul posto di lavoro si dà da fare e chi gioca”. Sfacciatamente, col telefonino in mano, mentre un cliente in fila arrivato da centinaia di chilometri aspetta di sentirsi rispondere che quanto richiesto “non si può fare”. Frutto dell’arroganza ignorante di chi sa di restare impunito da uno Stato che non c’è e che non controlla. Come l’impiegato che con voce alterata, ha risposto che “qui si lavora” a Laura, impiegata della Fai di Brescia, protagonista, per conto del proprio nuovo associato, dell’ennesima telefonata a Napoli per capire perché quella benedetta pratica non si sbloccava. A pensar male verrebbe da ipotizzare che far attendere dei mesi, invitare un imprenditore a rivolgersi solo a una delle società autorizzate (da chi?) per fare le pratiche e non a una società del nord, possa essere solo una strada per intascare una “mancia” non dovuta. Angelo Panico non vuol pensare neppure a questa ipotesi. Adesso gli basta sapere che finalmente il calvario è finito e che lui la società primaria ce l’ha a Mantova, “dove tutto o quasi”, commenta sorridendo, “funziona. E non a Napoli, dove, per quanto riguarda la mia esperienza diretta, alla Motorizzazione non funziona niente”. Adesso finalmente non dovrà più neppure chiedere al responsabile dell’agenzia di consulenza del nord di volare a Napoli, con tanto di delega firmata, per vedere la documentazione, per capire dov’era l’inghippo. Col rischio di sentirsi rispondere, “che un delegato di Brescia non poteva andare a nome suo a verificare la pratica a Napoli”. Già, perché è successo anche questo nella storia capitata ad Angelo Panico, il cui cognome si pronuncia con l’accento sulla ì. Il panico con l’accento sulla a è quello che ci si augura possa provare un giorno qualcuno di quei dipendenti fannulloni che mezza Italia, quella onesta, tifa perché finisca indagato e, magari, licenziato in tronco.