L’ex ministro ai Trasporti spese 15 milioni per 20 pagine di progetto

Ho potuto leggere, non senza stupore, le affermazioni dell’ex ministro dei trasporti Alessandro Bianchi. Ognuno è libero di trovare ogni giustificazione, anche la più fantasiosa possibile, per coprire i propri eventuali  insuccessi, ma mi pare che i ricordi dell’ex titolare del dicastero dei trasporti siano confusi e ricadano in una sorta di vittimismo che porta molti a vedere complotti politici che non esistono. Roba da vetero  comunismo.

Comprendo bene che Bianchi provi ad attribuire ad altri i suoi metodi comportamentali, ma i fatti rendono giustizia e lo smentiscono radicalmente. Forse non ricorda il ministro che sotto la sua illuminata guida la Consulta e l’Albo degli autotrasportatori non portarono avanti il completamento della riforma sulla liberalizzazione regolata. Tanto vero che, a titolo di esempio, i controlli, uno dei perni sui quali si reggeva la riforma, diminuirono; altrettanto si può dire per gli interventi per le Autostrade del mare, dove sono stati necessari circa 15 mesi per sbloccare quelle risorse che erano state stanziate dal precedente Esecutivo. Come si usava nei regimi tanto cari al ministro Bianchi, anziché utilizzare il Piano della logistica, approvato dal Cipe nell’aprile 2006, per annacquare il suo immobilismo si inventò un Piano della mobilità stanziando 15 milioni di euro che produsse in due anni una ventina di paginette di linee guida. La pianificazione era lo strumento utilizzato nelle economie a stampo socialista, utili solo a nascondere in piani pluriennali i fallimenti di quelle economie. Bianchi ha fatto la stessa cosa. Nell’autotrasporto passerà alla storia per aver reso obbligatorio per i mezzi pesanti, ma solo quelli nazionali, le strisce retroriflettenti, altro non ha saputo fare. Complimenti. Queste furono le ragioni per le quali Confartigianato trasporti e Fita Cna (non la Fai, che non proclamò alcun fermo ma si limitò a invitare le imprese ad aderire a una azione adeguata) proclamarono il fermo del trasporto contro il Governo Prodi. Ragioni politiche non ve ne erano. Il Paese si paralizzò anche perché Anita, che non ha mai storicamente partecipato a fermi, e Fedit ben poco rappresentano nel settore. Fu infatti, oltre alla scarsa conoscenza dei problemi, l’incapacità di risolverli di quel Governo  a far decidere le associazioni suddette che erano più vicine al Governo in carica a proclamare il fermo. E il governo Prodi li ripagò subito non sostenendo nel provvedimento finale di legislatura quella tariffa antidumping promessa solennemente agli artigiani. Eppure aveva la maggioranza! Spiace dover constatare che il professor Bianchi, a distanza di tempo, non abbia ancora compreso quali siano state le vere ragioni del fallimento nei trasporti, ma a voler considerare il giudizio degli italiani non solo in questo settore, del governo Prodi. Su una considerazione concordo con l’ex ministro: per affrontare lo stato di crisi del settore occorre un’ampia riforma strutturale e non degli interventi tampone. Proprio quelli che né il Governo Prodi né per ora l’attuale Esecutivo hanno saputo avviare, come invece avevano fatto il secondo e terzo Governo Berlusconi.

Paolo Uggé