Allarme rosso per la mancanza di camionisti: senza loro sarà la fine anche per aziende, negozi

Nell’Unione europea, in Norvegia e nel Regno Unito  mancano oltre 230mila camionisti e le analisi indicano un peggioramento della situazione talmente grave da lasciar prevedere che nel 2028, a causa del pensionamento degli autisti più anziani e senza un ricambio generazionale, ormai “fermo” da anni, le imprese di autotrasporto (e con loro le aziende produttrici, il mondo del commercio, centinaia di milioni di cittadini) dovranno fare i conti con una domanda (senza risposta) di assunzioni letteralmente  drammatica,  con 745 mila “camionisti fantasma”. E’ uno scenario più che allarmante per il futuro a breve e medio termine quello disegnato dal nuovo rapporto europeo sulla carenza di autisti di camion  realizzato dall’Iru, l’organizzazione mondiale del trasporto su strada che sostiene gli interessi degli operatori di autobus, pullman, taxi e camion, dalle piccole flotte aziendali ai giganti del settore, 

condotto su oltre mille  operatori europei del trasporto merci su strada. Un rapporto che mette sotto la lente d’ingrandimento la necessità di correre immediatamente ai ripari, senza perdere più neppure un solo giorno, se si vuole impedire che fra non molto trovare chi possa trasportare materie prima da lavorare in laboratori e industrie o prodotti da mettere in vendita nei negozi diventi davvero un’impresa disperata, evidenziando alcuni indicatori che non lasciano spazio all’interpretazione. Come i numeri legati all’età di chi svolge questa professione:  il “popolo” dei camionisti ha infatti un’età media  di  47 anni, con un  terzo dei camionisti che ha più di 55 anni  ( e che dunque con ogni probabilità  andrà in pensione nei prossimi dieci anni) mentre il “ricambio” , composto da autisti al di sotto dei 25 anni, raggiunge a fatica il 5 per cento. Un quadro che già oggi vede “la  metà delle aziende di autotrasporto europee non in grado di espandere la propria attività perché non riesce a trovare  lavoratori qualificati a causa della carenza di autisti”, come si legge nel rapporto dell’Iru, “con le conseguenze di una ridotta produttività  per quasi il 50 per cento delle aziende e  un calo delle entrate per il 39 per cento”. Un “vuoto” che moltissime imprese del settore ha cercato di colmare aumentando gli stipendi e offrendo incentivi per premiare le migliori performance lavorative, ma senza particolari risultati. A conferma che il problema non è solo economico (in  Europa, in media, lo stipendio lordo di un camionista è nettamente superiore rispetto al salario minimo nazionale) ma “culturale”. Con un’incapacità di troppi di capire l’importanza di restituire innanzitutto un “valore sociale”  a una categoria che negli ultimi anni è stata trattata davvero sempre più come “l’ultima ruota del carro”,  con gravissime colpe, in particolare, da parte della committenza, di chi le merci le spedisce e di attende che vengano consegnate: lavoratori spessissimo capaci di far aspettare i camionisti per ore su un piazzale, magari sotto l’acqua o con 40 gradi. Ma, probabilmente, con colpe altrettanto gravi anche da parte di chi (lo stesso mondo dell’autotrasporto e le associazioni che lo rappresentano) non ha saputo far comprendere a tutti  il ruolo fondamentale recitato dai conducenti di camion  non solo per la crescita dell’economia ma  della qualità della vita di ogni giorno, l’importanza che ha il poter far viaggiare materie prime e prodotti finiti. L’investimento  in veicoli più nuovi, la  copertura dei costi per l’accesso alla professione,  e l’offerta  di opportunità di miglioramento delle competenze, tutte manovre messe in campo per affrontare l’emergenza, evidentemente da sole non bastano. Lo dicono i 230mila camionisti che mancano all’appello e che rischiano di diventare, entro pochi anni, più del triplo. Numeri che richiedono un radicale cambio di direzione, restituendo alla professione di camionista la dignità e il rispetto che merita. Così come, del resto, moltissime altre professioni “scartate” ormai da troppo tempo da moltissimi giovani cresciuti senza che nessuno insegnasse loro che non sono professioni “inferiori” di serie B, che  fare gli idraulici, gli elettricisti, i falegnami o, appunto, i camionisti, è spessissimo molto più importante che stare davanti a un computer. Magari per fare gli influencer o i “fabbricanti” di burocrazia….  Un ‘importanza da affermare, da spiegare ogni giorno, da parte di chi, guidando il Paese, dovrebbe preoccuparsi di garantirgli un futuro a lungo termine, da parte di chi, facendo comunicazione,  attraverso tv, internet,  non ha saputo comprendere l’importanza di   inserire nei propri palinsesti e nelle proprie pagine  trasmissioni, video, testi e facciano capire quali sono i lavori davvero più importanti. Primi fra tutti quelli necessari  per evitare che in futuro possa sempre più mancare lavoro… Come il camionista, appunto.  Perché senza chi trasporta merci in futuro ci saranno sempre meno aziende che potranno lavorarle , sempre meno negozi che potranno venderle… Elementare, avrebbe detto Sherlock Holmes, difficilissimo da capire ancora per troppi….