Una mazzetta da un milione di euro pagata per far lavorare le cooperative, termine che troppo spesso ormai rischia di apparire sinonimo di associazioni per delinquere. Una ricchissima tangente che il mondo delle “coop” avrebbe versato nella consapevolezza che quell’”investimento” sarebbe stato ampiamente ripagato con i faraonici guadagni realizzati sulla pelle di migliaia di lavoratori costretti a fare “orari e ritmi di lavoro estenuanti” e ad accettare, in mancanza di altre offerte di lavoro, stipendi da fame. E’ uno scenario devastante quello che traspare dall’inchiesta della Procura della Repubblica di Milano che vede al centro la Brt, ex Bartolini, azienda che ha scritto la storia delle spedizioni e della logistica in Italia, e la filiale italiana di Geodis, per le quali i magistrati della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano hanno disposto l’amministrazione giudiziaria. Una decisione adottata al termine di indagini che avrebbero permesso di sollevare il velo su una storia di caporalato, con un “sistematico sfruttamento” dei cosiddetti “serbatoi di manodopera“, messi a disposizione, senza nessun tipo di tutela, da società intermediarie e cooperative. Nel silenzio generale dei sindacati, della politica, delle stesse migliaia di vittime di questo sfruttamento, costrette a subire condizioni di lavoro terribili. Ma se il silenzio di queste ultime appare giustificabile, dal timore di non trovare nessun’altra forma di sostentamento, la stessa cosa non può certo valere per uno Stato che troppo spesso non c’è, per un sindacato che non poteva e non può “non vedere” il meccanismo apparso invece chiarissimo agli investigatori, primo fra tutti il pubblico ministero Paolo Storari, coordinatore delle indagini che hanno portato a sequestri per un totale di oltre 120 milioni di euro eseguiti dagli uomini del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza milanese. Un meccanismo per cui i committenti, per essere più competitivi sul mercato con prezzi al ribasso , e approfittando dello stato di necessità dei lavoratori, li avrebbero costretti a sopportare, appunto, orari e ritmi di lavoro estenuanti, “spostandoli” da una società all’altra, senza rispettare le forme di tutela assistenziale e previdenziale, per realizzare – così almeno ipotizzano i magistrati della Procura della Repubblica di Milano, una maxi frode fiscale. Un meccanismo destinato non solo a violare i diritti di chi lavora ma anche a fare concorrenza sleale agli operatori “sani” dei trasporti e della logistica. Rimasti, troppo spesso a loro volta, in silenzio.