“Sono cose che in Italia non contano, sono stronzate, fanno curriculum” dice , parlando della sua condanna per evasione fiscale, Numa Tempesta, il finanziere, interpretato da Marco Giallini, che nel film “Io sono Tempesta” gestisce un fondo da un miliardo e mezzo di euro e abita da solo nel suo immenso hotel deserto. Una frase che fotografa una situazione reale che vede, nel nostro Paese, moltissime persone commettere reati fiscali, proprio perché li considera scarsamente rilevanti e questo perché troppo spesso non controllati. e dunque con ottime probabilità di restare impuniti. Una “cultura” che, in assenza di veri controlli, ha provocato nei decenni danni colossali, continuando a generare da una parte una minore entrata di denaro nelle casse dello Stato e dall’altra, cosa ancora più grave, alimentando una distorsione del mercato che, proprio per colpa dell'”assenza dello Stato” nel garantire controlli efficaci, ha messo e continua a mettere in difficoltà o addirittura a “uccidere” imprese oneste a vantaggio di quelle guidate da farabutti. Una realtà particolarmente nota al mondo dell’autotrasporto, che da anni denuncia, inutilmente, la mancanza di controlli. Un mondo dal quale arriva, non a caso, l’ennesima conferma di quanto il fenomeno evasione continui a viaggiare a tutta velocità: una con ferma che ha il “volto” di un’organizzazione, scoperta dagli agenti della Guardia di Finanza, che avrebbe attuato una frode fiscale aprendo e chiudendo una serie di imprese di autotrasporto in Lombardia. Per la precisione 25 imprese, intestate a prestanome che l’organizzazione, con base operativa alle porte di Milano, avrebbe acquisito o costituito solo per compiere diverse attività illegali: prelevando denaro e beni dal patrimonio aziendale per scopi personali ed evadendo il pagamento d’imposte e contributi previdenziali, falsificando i bilanci ed emettendo fatture per operazioni inesistenti. Imprese che, trascorso un certo periodo, venivano chiuse o fatte fallire, trasferendo commesse, personale e disponibilità finanziare a nuove società dirottando i profitti in altre attività ancora, fra cui alcune immobiliari. L’indagine ha anche permesso di scoprire una pratica che si è diffusa in diversi settori durante la pandemia, ossia quella di far lavorare personale che formalmente era in cassa integrazione, con un sostegno da parte dell’Inps. Quattordici le persone indagate (di cui sei finite in carcere e cinque agli arresti domiciliari) al termine dell’indagine che ha portato al sequestro di beni (tra cui 127 camion) e denaro per 33 milioni di euro. Un’indagine che testimonia comune una strategia di controlli veri, sui mezzi e nelle aziende, potrebbe far ripartire il Paese meglio di mille altre manovre di incentivi e aiuti vari. Semplicemente stabilendo una regola: che chi è onesto va avanti e chi non lo è si ferma. Possibilmente dietro le sbarre.