Asfalto riciclato: usarlo fa bene alla salute e ai conti ma l’Italia ne usa molto meno di altri Paesi

La storia della viabilità italiana è lastricata di capitoli poco edificanti, fra ponti e cavalcavia crollati, gallerie a rischio, migliaia di chilometri d’asfalto ridotti in condizioni pietose. E neppure un nuovo capitolo (scritto sotto forma di analisi sul riciclo delle pavimentazioni stradali in Italia e nei principali Paesi Europei dai responsabili di Siteb – Associazione Strade Italiane e Bitumi – e reso noto in occasione di Asphaltica, il Salone dedicato alle tecnologie e soluzioni per pavimentazioni stradali, sicurezza e infrastrutture viarie, promosso dall’Associazione e da Veronafiere e in corso fino al 26 novembre presso la fiera di Verona, sembra sfuggire alla regola. Perchè se è vero che da un lato l’analisi conferma una crescita, nel Belpaese, del tasso di riciclo delle strade con il recupero di bitume fresato dagli strati del rivestimento stradale,   che ha raggiunto il 30 per cento del totale delle pavimentazioni stradali (contro il 20 per cento del 2014 e il 25 del 2018) dall’altro appare evidentissimo il gap rispetto ad altri Paesi europei che in media arrivano a recuperare circa il 65 per cento. Colpa della “burocrazia, del complesso e non uniforme regime delle autorizzazioni e del pregiudizio frenano ancora lo sviluppo del riciclo” come si legge in una nota che mette chiaramente in risalto quanto un ricorso più massiccio al “riciclo dell’asfalto” potrebbe far bene al Paese in termini di lotta all’inquinamento. Basti pensare che “grazie alle pavimentazioni recuperate nel 2021 si è evitato l’utilizzo di 420mila tonnellate di bitume vergine e di 10 milioni e .500mila tonnellate di inerti, per un risparmio complessivo di circa 420 milioni di euro di sole materie prime e una riduzione di emissioni inquinanti equivalenti a quelle generate da 4 raffinerie di medie dimensioni”. Un passo in avanti, ma che appare ben poca cosa rispetto a quanto fatto da altri Paesi europei, come la Germania, che vanta addirittiura un 82 per cento di riciclo di fresato; la Francia (75 per cento); la Svizzera (90 per cento) e la Spagna (60 per cento). Percentuali che fanno capire quanta strada abbia ancora da fare l’Italia per riutilizzare sempre più il fresato che, conclude la nota, “oltre a possedere elevate caratteristiche tecniche e a essere totalmente riutilizzabile nelle costruzioni stradali, possiede un elevato valore economico”. Siteb ha infatti calcolato che “il riutilizzo del 30 per cento del fresato sul totale di 35 milioni di tonnellate di conglomerato bituminoso previsto per quest’anno, comporterà il mancato impiego di 420mila tonnellate di bitume vergine (con relativa riduzione del fabbisogno di petrolio) e il risparmio di 10,5 milioni di tonnellate di inerti, per un valore economico complessivo di circa 420 milioni di euro per le sole materie prime. Ipotizzando che in un futuro non lontano il recupero del fresato possa raggiungere almeno quota 50 per cento (visti anche i dati registrati in altri Paesi), si potrebbe arrivare a impiegare 700mila tonnellate di bitume in meno e a evitare l‘utilizzo 17,5 milioni di tonnellate di inerti vergini, con un risparmio pari a 700 milioni di euro”. “Il settore ha compiuto negli ultimi anni significativi passi in avanti sul fronte della riduzione delle emissioni inquinanti e si presenta oggi proiettato verso gli obiettivi fissati a livello europeo”, ha commentato Stefano Ravaioli, direttore di Siteb, spiegando che “la decarbonizzazione del comparto passa oggi da tre percorsi: l’impiego di bruciatori di ultima generazione con consumi assai ridotti e contenimento delle temperature di produzione dei materiali e delle emissioni; la realizzazione di conglomerati bituminosi con sempre più elevate percentuali di materiali riciclati, come il fresato d’asfalto e i materiali alternativi (inerti artificiali provenienti dalle attività di fonderia o dalla termovalorizzazione di rifiuti solidi urbani); l’utilizzo di mezzi d’opera azionati elettricamente (rulli compattatore e vibrofinitrici) che stanno iniziando a sostituire quelli con motori diesel. Ci stiamo avvicinando velocemente a un futuro in cui l’utilizzo di materiali vergini per produrre asfalto sarà considerato un’eccezione, mentre la norma sarà il riciclo costante delle pavimentazioni e l’impiego di costituenti alternativi” ha concluso Stefano Ravaioli, invitando a “imprimere un’ulteriore accelerata in tal senso intervenendo sulla normativa End of Waste, ovvero la disciplina che stabilisce quando un rifiuto può tornare a svolgere un ruolo utile come prodotto., “eliminando alcuni nodi che rischiano di azzerarne l’efficacia, primo fra tutti quello relativo alle quantità di fresato trattabili” e affrontando un altro problema: “ la questione del “sottoprodotto” che andrebbe meglio definita normativamente per evitare confusione nell’interpretazione”.