Una montagna di merci prodotte a basso prezzo in Cina potrebbe approdare in futuro nei porti italiani per poi raggiungere l’Europa, attraverso le “nuove vie della seta”. Una prospettiva che, se non dovessero mutare le condizioni attuale, rischia solo di danneggiare il mercato italiano. Il perché è presto detto: il Brennero ha deciso di limitare i passaggi dei mezzi pesanti; la linea verso la Francia per Ventimiglia è limitata dal ponte di Genova; il tunnel del Bianco paventa la chiusura per due anni e il Frejus attua il transito alternato per manutenzione. La conclusione è che se non riusciranno a raggiungere i mercati europei i prodotti “made in China” qui resteranno. E la ovvia evoluzione sarà che i prodotti cinesi più convenienti conquisteranno i nostri mercati con conseguenze sui consumi, sul sistema produttivo, mettendo fuori mercato le imprese nazionali e generando ricadute pesanti sui livelli occupazionali. Una considerazione forte, forse semplicistica e di parte, ma che andrebbe tenuta in conto nel momento in cui si affronta il tema del deficit infrastrutturale generale e si contesta la realizzazione della Tav. Anche alla luce di quanto ha sostenuto il consigliere delegato di Filiera Italia Luigi Scordamaglia riferendosi all’export alimentare: ovvero che la logistica conta più dei bonus fiscali. La Tav è parte di un sistema: un anello di un corridoio internazionale definito a livello europeo (anche se qualcuno è molto abile nel farlo apparire solo un collegamento tra due città Torino e Lione quando così non è affatto) richiesto e voluto dall’Italia. Sull’opera si registrano dichiarazioni per lo più frutto di disinformazione o pregiudizi politici non considerando che in gioco non vi è solo la tenuta dell’Esecutivo ma soprattutto la credibilità del Paese. Alcuni sostengono che non si dovranno riconoscere danni di natura economica ma una riflessione si impone proprio perché si tratta di un’opera decisa a livello europeo che coinvolge, oltre all’Italia, anche diversi Paesi: Portogallo, Spagna, Francia, Slovenia, Ungheria e Ucraina. Governi che inevitabilmente hanno già assunto decisioni relative a interventi infrastrutturali da effettuare, in quanto coinvolti dalle conseguenze della scelta “anche” italiana, e che, c’è da scommetterci, si sentiranno in diritto e in dovere di fare gli interessi dei rispettivi Paesi e conseguentemente avanzeranno gioco forza le richieste di risarcimenti. Del resto chi di noi non si comporterebbe in eguale maniera laddove si sentisse danneggiato da scelte che lo penalizzano e che non potrebbero che apparirgli, senza potergli dar torto, del tutto irragionevoli e inspiegabili? Chi sostiene che non vi saranno richieste di danni vive fuori dalla realtà, così come chi afferma che la Francia non avrebbe investito un euro sulla Tav (una ridicola tesi che si commenta da se). La confusione è totale e il Governo non ne esce certo bene. Forse pochissimi ricordano che nel 2001 i collegamenti tra Paesi esistenti in Europa erano parziali e non rappresentavano una rete. La programmazione europea immaginata escludeva poi totalmente l’Italia dal progetto predisposto. Solo con la presidenza italiana (2003), con l’impegno del ministro alle Infrastrutture e ai trasporti Pietro Lunardi e alla lungimiranza della commissaria europea ai trasporti Loyola De Palacyo si giunse alla programmazione dei corridoi trans europei che, modificando l’originaria ipotesi, coinvolse il nostro Paese, inizialmente escluso. Con quale faccia ora, non considerando le leggi di ratifica sugli accordi internazionali approvate dal Parlamento, ci rimangiamo impegni solenni? Alle leggi non si oppongono mozioni ma nuove leggi. Come potremo recuperare credibilità politica se dopo aver operato per ottenere la modifica dell’impianto di corridoi trans europei che ha previsto l’inserimento di ben quattro reti Ten (per una scelta politica che non trova peraltro consenso della maggioranza degli italiani e registra la contrarietà dei corpi intermedi) ci rimangiamo tutto? Quale sarà la reazione degli investitori esteri? Quale sarà la fiducia nei confronti di un Paese che si rimangia precisi impegni assunti? E possiamo forse pensare che la Cina, dopo aver concesso prestiti per realizzare la Via della Seta, acconsentirà facilmente a modifiche rispetto agli impegni concordati? L’obiettivo per quel Paese è l’espansione dell’economia in Europa: solo chi crede alle favole o intravvede opportunità inesistenti può decidere di divenire il cavallo di Troia, prodromo alla conquista dei mercati europei. E questo non avverrà a costo zero. Infine non c’è che restare perplessi anche di fronte a certi comportamenti di partiti che a parole sono favorevoli alla Tav ma poi, come successo al Senato, non si presentano a sostenere le mozioni da loro presentate. Per fortuna un dato politico significativo è comunque emerso, ed è che anche la mozione dei partiti di governo favorevoli a un rinvio e a una ridiscussione non ha ottenuto i 161 voti che rappresentano la maggioranza al Senato. Questo potrebbe innescare un ripensamento sull’intera questione? A sentire le dichiarazioni di natura decisionistica rilasciate da chi non ha mai ricevuto la legittimazione popolare e coordina l’attività di governo così però non parrebbe.
Paolo Uggé, vicepresidente di Conftrasporto e Confcommercio