Camionisti stranieri low cost: il trucco c’è ma l’Italia non lo vuol vedere

Dopo l’Austria, che ha deciso di introdurre dal 1 gennaio nuovi obblighi e controlli per le imprese di autotrasporto estere che operano sul proprio territorio con conducenti distaccati, notoriamente meno costosi, anche il Belgio ha stabilito di rafforzare le norme atte a impedire azioni di concorrenza. O meglio, di concorrenza sleale: quella, appunto, realizzata facendo guidare autisti di altri Paesi, per esempio dell’Est, dove il lavoro costa pochissimo, magari assunti attraverso agenzie di lavoro temporaneo, con il solo vero obiettivo di tagliare i contributi da versare. 

La strada intrapresa dal Belgio prevede controlli minuziosi sulle operazioni di distacco e nuove normative per garantire l’applicazione del salario minimo per le imprese che effettuano operazioni di cabotaggio e trasporti internazionali. Qualcuno, a questo punto, si domanderà dove siano le associazioni di rappresentanza del trasporto italiano e cosa stiano facendo per contrastare questo fenomeno. Si sono mosse, eccome. Peccato, però, che gli interventi ripetutamente richiesti al Governo non abbiano, almeno fino a oggi, trovato risposta alcuna. Una situazione insostenibile, al punto che che se dall’incontro, previsto a Roma  a breve, non emergeranno provvedimenti utili a ostacolare i fenomeni di concorrenza sleale la risposta non potrà che essere adeguata. In questi ultimi anni, come hanno confermato i dati diffusi da Conftrasporto nel recente forum internazionale di Cernobbio analizzando l’andamento del settore a partire dal 2003, l’Italia ha perso il 60 per cento dei traffici, pari a 3 miliardi di euro, a tutto vantaggio delle imprese dell’Est che invece hanno incrementato i loro viaggi del 700 per cento. La quota di mercato delle imprese italiane è scesa così dal 32,7 al 12 per cento. Il sistema si basa innanzitutto sul fenomeno dell’abusivismo nelle operazioni di cabotaggio che viene molto poco controllato e su offerte decisamente più basse nei trasporti internazionali, e questo proprio a causa delle differenze rilevanti sul costo del lavoro che può “pesare”, per esempio con un autista bulgaro, anche dieci volte meno rispetto a un conducente italiano. E il costo del lavoro rappresenta una voce che incide sui costi totali di un’impresa italiana mediamente intorno al 28 per cento. Il Governo ha scelto di attendere le mosse delle competenti autorità comunitarie che, a voce, hanno contestato le scelte unilaterali di altri Paesi, come Francia, Germania, Finlandia, Danimarca, Belgio e Austria. Ma, come insegna la celebre frase di Tito Livio, “mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata”. In attesa dell’Europa, le imprese italiane trasferiscono all’estero la sede o chiudono l’attività. E i lavoratori? Di loro dovrebbero preoccuparsi i sindacati, magari realizzando una difesa comune con le rappresentanze d’impresa. Ma per ora la loro lungimiranza sembra più mirare a ottenere rinnovi contrattuali più onerosi, non rendendosi conto di favorire così la perdita di posti di lavoro. E il Governo? Sempre latitante.

Paolo Uggé, presidente Fai Conftrasporto e vicepresidente Confcommercio