La crisi dell’Ilva ha coinvolto pesantemente anche molti operatori del mondo del trasporto che per mesi hanno assicurato la movimentazione delle merci nonostante le gravissime difficoltà causate dal dover sostenere i costi senza ricevere alcun corrispettivo. Migliaia di viaggi garantiti da imprese che hanno pagato stipendi e contributi ai dipendenti e che hanno dovuto versare l’Iva sulle fatture nonostante non fossero onorate. Dimostrando, con i fatti, la volontà di condividere i sacrifici pur di evitare che il gruppo siderurgico, già in crisi finanziaria, dovesse sospendere le consegne, nella consapevolezza che se le merci restano sui piazzali l’impresa chiude. Come è stata ripagata questa disponibilità? Con poco o nulla. Con decreto del 5 gennaio 2015 sono state estese all’Ilva le procedure previste dalla legge Marzano, provvedimento che contiene “disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi”, ma nessuna soluzione per affrontare le criticità dell’indotto e in particolare delle imprese di autotrasporto, assolutamente essenziali (e se qualcuno lo nega è da interdire) all’impresa produttiva. I rappresentanti di Fai Conftrasporto hanno fatto presente in diversi incontri ai dirigenti dell’Ilva come molti operatori fossero ormai al limite e altri costretti addirittura a sospendere i servizi di trasporto dopo che i rivenditori di carburante si erano rifiutati di rifornire di gasolio i loro automezzi, chiedendo di rientrare rispetto alle dilazioni concesse sui tempi di pagamento. È stata anche effettuata qualche azione dimostrativa. Col risultato che alcuni emendamenti e interrogazioni sono stati presentati e che il ministero per lo Sviluppo economico ha convocato un incontro, che non ha però prodotto risultati. E ora sono molti gli operatori che chiedono a gran voce alle associazioni di scendere sul piede di guerra…
Paolo Uggé