Trasporto merci su nave, così l’Italia continua a buttare a mare miliardi di euro

Fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Un detto che calza a pennello per riassumere  la storia di una possibile opportunità di far ripartire l’economia puntualmente sprecata da un governo che pure si è autonominato “del fare”. La storia è quella dei nostri porti che oggi, per colpa di un mare di burocrazia e di scarsa funzionalità, fanno perdere al nostro Paese  600 milioni di euro in dazi, 150 milioni in tasse portuali e qualche miliardo di Iva non riscossa. E questo perché una consistente fetta delle merci destinate all’Italia vengono sdoganate nei porti del nord Europa. Riportarle in Italia” sarebbe semplice:  basterebbe eliminare le 68 operazioni di controllo e ridurre gli enti (18) che sovrintendono alle operazioni per migliorare la competitività  dei nostri porti. Una soluzione a portata di mano di cui si è parlato più volte (del tema si è occupato in prima pagina su Il Giornale anche il direttore Vittorio Feltri) ma che è rimasta lettera morta. Da troppo tempo assistiamo ad annunci di decisioni che dovrebbero portare alla tanto attesa ripresa, ma che puntualmente non vengono prese nonostante i dati, impietosi, sconfessando clamorosamente  le previsioni dell’uscita del tunnel che risalgono al governo dei tecnici, dimostrino quanto il Paese abbia invece bisogno proprio di decisioni immediate. Il Pil in calo dell’1’7 per cento e i consumi del 2,4, aggiunti all’incremento della spesa pubblica, non sono forse riferimenti significativi? Non forniscono un quadro sufficientemente preoccupante per spingere il Governo ad agire, a fare fatti invece delle dichiarazioni, spesso controverse, che non fanno altro che suscitare dubbi e allarmare chi deve operare nei mercati? Aumento dell’Iva, ritorno all’Imu, incremento dell’accisa? Una situazione imbarazzante. Resa ancor più insostenibile dalla  ripresa dei riti parlamentari che, per fare un esempio,  allungheranno i tempi della riforma portuale proposta dal senatore Luigi Grillo. E se in mare le cose vanno male, in cielo non vanno meglio: se risultassero reali le ipotesi circolate sulle condizioni poste da Air France per acquisire il 50 per cento di Alitalia il rischio di marginalizzare e ridurre la compagnia di bandiera al  ruolo di “servente” del sistema francese sarebbe purtroppo molto reale…

 Paolo Uggé

4 risposte a “Trasporto merci su nave, così l’Italia continua a buttare a mare miliardi di euro

  1. Con il trasporto merci buttiamo a mare miliardi di euro, col superbollo abbiamo bruciato 140 milioni di euro, senza dimenticare che con le tasse sullo stazionamento nei porti turistici abbiamo perso qualche altro centinaio di milioni di euro. Ma da chi siamo guidati? Da incapaci totali? Basterebbe recuperare quei soldi per non essere nella m…. fino al collo.

  2. Paolo Uggé ha fotografato la situazione per quella che è: abbiamo una classe politica, compresi i “professori” di incapaci totali nella migliore ipotesi, di ladri nella peggiore….

  3. Oltre al fatto che in Italia occorre presentare una cinquantina di documenti in una ventina di uffici (che spesso sono in luoghi diversi e hanno orari diversi) esiste anche il problema dei festivi e dei fondali. Assolutamente indispensabile l’apertura di tutti gli uffici, nello stesso luogo fisico, negli stessi orari unici, 7/7 come altrove. Inoltre le nuove generazioni di portacontainer ad esempio le Maersk hanno bisogno di porti con fondali profondi: Trieste pesca 18 metri, ma oggettivamente non è attrezzato per navi così grandi… Gioia Tauro 16,50 ma manca la ferrovia…

  4. C’è da dire però che i porti così come gli interporti sono tanti e troppi, autonomamente gestiti, di cui molti poco funzionali.
    Il primo punto da cui partire è la classificazione di quelli strategici, la chiusura di quelli poco interessanti con un conseguente risparmio per lo stato di costi inutili e il potenziamento dei rimanenti.
    Sarebbe poi compito delle amministrazioni portuali adottare la politica dei grandi numeri offrendo agli operatori servizi strutturati a costi più ridotti (in linea con l’europa).
    Ma in Italia chi ha una poltrona e un piatto ricco, difficilmente rinuncia e quindi assistiamo al mangia mangia generale dove nessuno fa mezzo passo indietro

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