Lo scalo merci che rischia di far deragliare la credibilità della politica e della sostenibilità

“C’è stato un periodo, a cavallo fra gli anni ’80 e ’90, in cui questo  scalo merci è arrivato a movimentare oltre 25mila vagoni l’anno, facendo del “trasporto combinato strada-rotaia” una realtà consolidata. Peccato che poi quei numeri, con il passare degli anni, nonostante le continue promesse di spostare sempre più merci dall’asfalto ai binari favorendo la mobilità sostenibile, siano continuamente diminuiti fino a raggiungere le poche migliaia di oggi. E  con la prospettiva imminente che si riducano a zero, considerato che RFI si è mostrata irremovibile sul no a una nuova proroga che potesse consentire di proseguire l’attività in attesa di un nuovo scalo merci che il territorio attende ormai da decenni”. Le parole di Andrea Callioni, titolare della Cisaf Srl che gestisce lo scalo merci ferroviario della stazione di Bergamo, non suonano solo come un fortissimo allarme per il futuro dell’economia del territorio (con alcune importanti di aziende, per un totale di oltre 2000 dipendenti, che potrebbero trovarsi costrette ad adottare decisioni drastiche) ma anche come un “de profundis” per la politica, incapace  per  decenni, di trovare un’alternativa allo scalo merci cittadino, e “capace” oggi di compiere una “manovra” che appare come la più chiara e inconfutabile fotografia di come  la tutela dell’ambiente, la mobilità sostenibile e la svolta green possano diventare solo vuote parole, una vergognosa beffa. Perché, come ha spiegato in una lettera (inviata al presidente della Provincia Pasquale Gandolfi, al sindaco di Bergamo Giorgio Gori, ai vertici di Confindustria e della Fai di Bergamo) Andrea Callioni, che oltre a guidare la Cisaf Srl siede anche nella cabina di guida, come consigliere, della Fai, la federazione autotrasportatori italiani, di Bergamo,  “la chiusura dello scalo bergamasco costringerà  le aziende bergamasche che utilizzano la “strada dell’intermodalità”  per consegnare i propri prodotti a utilizzare gli interporti di Brescia, Milano, Verona, moltiplicando così gli spostamenti su strada e aumentando traffico e inquinamento”. Viaggiando di fatto, “contromano” rispetto alla tanto sbandierata svolta green. “Sempre che non decidano di imboccare altre strade, semplicemente devastanti per l’economia del territorio, riducendo o sospendendo la produzione, o magari addirittura trasferendo la sede”, aggiunge Doriano Bendotti, segretario provinciale della Fai bergamasca che ha lanciato un appello al presidente della Camera di Commercio e agli esponenti politici, cittadini e provinciali, regionali e nazionali, “affinché si garantisca l’attività dello scalo per il 2023, perché il territorio ha già perso importanti realtà produttive e non può permettersi di pagare ancora una volta il costo dell’incapacità di prendere una decisione strategica per il futuro di tutti”. Parole forti, come fortissima è la delusione nel rileggere la storia dello scalo merci di Bergamo, infrastruttura che il 31 dicembre appare ormai condannata senza appello alla chiusura e senza una qualsiasi alternativa considerato che tutti i progetti fatti nei decenni scorsi sono miseramente naufragati e che l’ultima soluzione trovata, che prevede di trasferire il trasporto combinato strada-rotaia sull’’area delle ex Acciaierie di Cortenuova, consentendo la riqualificazione delle aree dello scalo ferroviario di Bergamo con il grande progetto Porta Sud,  è ancora solo sulla carta. “Di fatto si è deciso di cancellare l’unico scalo merci ancora attivo sul quale le aziende bergamasche possono contare per non congestionare ulteriormente la viabilità stradale, senza lasciare altre alternative alle imprese che vogliono continuare a far viaggiare le proprie merci, se non quella di far percorrere decine, centinaia di chilometri in più ogni giorno a ogni camion carico dei prodotti di importanti aziende chimiche, di imprese manifatturiere. Società già duramente provate da una crisi infinita e che, grazie alla chiusura dello scalo, “operazione” che crea un gigantesco problema senza aver pensato a preparare anticipatamente  una soluzione, si ritroveranno ad affrontare nuovi costi aggiuntivi. L’invito che rivogliamo a tutti”, conclude Andrea Callioni, è a “fare squadra per ottenere una nuova proroga e non far esplodere una situazione che riguarda, prima ancora che  il mondo dell’autotrasporto, le imprese produttrici, rendendole ancor meno competitive sui mercati. Ma soprattutto una manovra che rischia di confermare purtroppo come  il tema della mobilità sostenibile, fondamentale per il futuro del pianeta, rappresenti troppo spesso una farsa”.