Vecchissimi film western ci hanno proposto centinaia di scene in cui le carovane percorrevano decine di chilometri per trovare un punto ideale in cui attraversare un fiume, in cui i cowboy cercavano il miglior guado per trasferire le mandrie da una sponda all’altra, senza rischiare di perdere molti capi. Scene di “vita lavorativa” di due secoli fa. Ma c’è una categoria di lavoratori che ancora oggi, all’inizio del terzo millennio, anche se sembra incredibile, è costretta a percorrere chilometri costeggiando le sponde di un corso d’acqua, per riuscire ad attraversarlo. Accade al confine delle provincie di Lecco, Milano e Bergamo, dove centinaia di autotrasportatori ogni giorno sono costretti a fare come nel vecchio West, percorrendo anche il doppio dei chilometri che potrebbero invece fare se solo vivessero e lavorassero in un Paese capace di progettare e, soprattutto, realizzare nuove infrastrutture (oltre ad adeguarne e metterne in sicurezza a migliaia.). Un allungamento di ogni viaggio per le imprese del settore che si trovano a caricare e scaricare merci spostandosi fra le due province che si traduce in ore di lavoro letteralmente perse per strada, e dunque in un aggravio notevolissimo dei costi, oltre che un un aumento dell’inquinamento. “Danni collaterali” pesantissimi come lo è il costo aggiuntivo per le imprese calcolato da un minimo di 50 a un massimo di 250 euro a giornata e che, moltiplicato per centinaia di mezzi, fa una montagna di soldi, come denuncia Paolo Doneda, da poco eletto nel consiglio della Fai, federazione autotrasportatori italiani, di Bergamo e a cui è stato assegnato proprio l’incarico di seguire, in particolare, i problemi della mobilità sul territorio. “Pensare che nel 2021 un fiume possa rappresentare una barriera difficile da sormontare ha dell’incredibile”, commenta Paolo Doneda, “soprattutto se si pensa alle ricadute che una simile situazione ha su moltissime imprese. Basti pensare che ci sono oltre un centinaio di aziende specializzate nel settore edile che che da tempo stanno chiedendo alla Fai di far qualcosa perché si trovi una soluzione, di trovare una “via d’uscita” a un problema che purtroppo presenta da anni, come incognita, l’attraversamento di un fiume. Sembra davvero di essere tornati al vecchio West, alla ricerca di un “guado” per attraversare l’Adda che oggi offre, come possibili passaggi , il ponte di Brivio, al confine con il Lecchese, dove possono transitare soltanto i mezzi fino a 40 tonnellate; quello di Capriate che sostiene fino a 20 tonnellate di peso ma che vede, sulla strada per accedervi ,a Trezzo, il divieto di transito ai veicoli sopra le 3,5 tonnellate e, infine, il ponte di San Michele, che collega Calusco a Paderno, dove il limite si abbassa ad appena 3,5 tonnellate, con l’obbligo di viaggiare a senso unico alternato e a passo d’uomo. E senza che gli amministratori dei due Comuni riescano a trovare un accordo per progettare una nuova infrastruttura. Uno scenario sconfortante soprattutto visto attraverso gli occhi degli autotrasportatori che viaggiano dalla provincia di Bergamo a quelle di Milano e Lecco e che ,una volta giunti sulle sponde dell’Adda al confine con il lecchese, devono scendere, seguendo il corso del fiume per 50 chilometri, fino a Rivolta d’Adda, per trovare un altro attraversamento senza limitazioni. Una situazione da incubo per chi sulle strade lavora, in particolare per le ditte che operano sul corto raggio e per le quali ogni viaggio raddoppia chilometraggio, tempo impiegato, costi. Ditte che in molti casi hanno perso delle commesse perché non potevano più essere competitive sul mercato di Milano e della Brianza”. E, come non bastasse, ad aggravare la situazione ci sono i pedaggi. “Come sul ponte dell’autostrada A4, su cui”, come ha denunciato Paolo Doneda in un’intervista pubblicata dal Corriere della Sera, “ i veicoli cava/cantiere possono passare soltanto se muniti dell’autorizzazione al trasporto eccezionale, che va richiesta con anticipo e con un somma da pagare più alta del normale per indennità di usura”. E, anche in questo caso, senza valide alternative, visto che “è decisamente più costoso (6,7 euro), oltre che scomodo per la lunghezza della tratta, macinare i 12 chilometri dal casello di Treviglio a quello di Pozzuolo Martesana, percorrendo la Brebemi. Le infrastrutture nel terzo millennio dovrebbero consentire di viaggiare più rapidamente, diminuendo i tempi, i costi, l’inquinamento. Che in una delle aree che trainano l’economia del Paese le infrastrutture rappresentino solo un ostacolo in più, in un periodo già difficilissimo non solo non è più giustificabile: è inaccettabile”