I camionisti fanno più sacrifici di altri: mettiamo le imprese nella condizione di pagarli di più

”È inutile girarci attorno, alla ricerca di chissà quali soluzioni: la strada per far riavvicinare i giovani alla professione di conducente di camion, fermando una vera e propria fuga da questo lavoro che rischia si lasciare l’Italia, fra non molti anni, senza chi trasporterà  quanto prodotto dalle industrie e dai laboratori artigianali, è una sola: mettere le imprese di trasporto nella condizione di pagarli di più. E questo per la semplice ragione che questi ragazzi sono chiamati a fare sacrifici che si misurano in orari di lavoro che spesso iniziano all’alba; di giorni (ma anche  notti )trascorsi lontano da casa; di pasti consumati in pochi minuti, magari per recuperare il tempo perso per colpa di colonne su strade e autostrade inadeguate. Senza dimenticare che un conto è “staccare dal lavoro”  in orari che possono ancora permettere di vedersi con gli amici, la fidanzata, di tornare a casa a giocare con i figli, e un altro è invece starsene fermi in un piazzale di sosta sotto l’acqua o la neve ad aspettare di caricare o scaricare… E senza contare, poi, il trattamento, ingiustificabile, riservato in alcuni casi da qualche committente ai camionisti che ormai sono considerati davvero l’ultima ruota del carro, dimenticando che senza di loro l’economia, l’intero Paese si fermerebbero…”. Edvige Gualdi, per tutti “Edi” è donna e imprenditrice: due caratteristiche che ne fanno una persona pratica, che non ama perdersi in inutili chiacchiere. E di fronte all’allarme mancanza autisti (“che ormai suona da anni, ma senza che nessuno faccia davvero qualcosa di concreto per arginare il fenomeno”) ha deciso di indicare la via per una soluzione “pratica”, davvero realizzabile. Niente a che vedere con slogan o magari “spot” che raccontino chissà cosa. “Perché per riavvicinare i giovani italiani a questo mestiere, che per decenni ha permesso all’Italia di crescere, come insegnano le storie dei genitori e dei nonni di chi fa questa professione oggi colpevolmente bistrattata, è innanzitutto necessario raccontare la verità: ovvero che questo mestiere è una passione che, però, comporta anche dei sacrifici che devono essere ripagati, con stipendi che consentano di costruirsi una famiglia, una casa, di vivere una vita più che decorosa. Come far sì che questo possa accadere? Attraverso due “passaggi” obbligati. Il primo: lo Stato dia alle imprese del settore la possibilità concreta di premiare i dipendenti, facendo sì che i soldi nella busta paga finiscano davvero nelle tasche di chi lavora e non vengano bruciati in gran parte in tasse; il secondo: la committenza e lo Stato comprendano il ruolo fondamentale dell’autotrasporto e l’importanza di pagarlo adeguatamente per avere un servizio di qualità e per costruire, tutti insieme, una nuova cultura dell’autotrasporto, nell’ambito di una libera e sana concorrenza. Diversamente c’è il rischio di distruggere il mercato lasciando strada libera alla concorrenza sleale: a gente che sottopaga i camionisti, che non fa manutenzione ai mezzi, creando i presupposti per possibili incidenti e fregandosene dell’inquinamento e che dovrebbe essere inserita in una black list di imprenditori che non possono più svolgere questo mestiere ”. Un’operazione di “pulizia” che la classe politica non può più permettersi di rinviare perché, prosegue Edi Gualdi, tornando al punto di partenza, ovvero l’abbandono da parte dei giovani della professione di conducente, “ fra non molto per chi produce potrebbe diventare un serio problema far giungere i propri prodotti sul mercato. E se le merci restano ferme sui piazzali le aziende chiudono e i disoccupati crescono. Sento dire che molti giovani oggi piuttosto che cercarsi un lavoro  preferiscono stare a casa, vivendo alle spalle dei genitori o, magari, grazie al reddito di cittadinanza, ma io sono certa che  molti giovani sarebbero disponibili ad accettare lavori anche pesanti se le imprese di trasporto fossero nella condizione di pagarli adeguatamente, se venissero ridotti i costi legati all’ottenimento della Cqc e della patente professionale che sono oggi certamente un ulteriore elemento deterrente per i giovani. Giovani con ancora voglia di fare (e magari in qualche caso anche con quella passione per i camion e la strada che in questo lavoro non può mancare): giovani che il Paese rischia però di perdere per strada se non riusciremo tutti a comprendere che occorre investire su chi “vuol fare”, sulla meritocrazia, e non  magari su chi sogna di starsene a casa davanti alla tv o ai videogiochi  aspettando un reddito di cittadinanza. Così non si costruisce il futuro, così lo si demolisce. La classe politica italiana, senza distinzione di colori, spessissimo non è stata in grado di prevedere i cambiamenti, neppure quando questi cambiamenti viaggiavano a tutta velocità sotto i loro occhi. I disastri si possono prevedere e l’abbandono da parte dei giovani di un mestiere, come quello del camionista, che per le generazioni precedenti ha rappresentato invece una opportunità di farsi una famiglia, una casa, mettendo da parte anche un gruzzoletto, è la storia di un disastro annunciato ormai da tempo. E che, senza una manovra immediata per invertire la strada, può avere solo un finale, bruttissimo per tutti”.