Art, storia di una tassa occulta che “deruba” i trasportatori e si fa perfino beffe di loro

“Un vero e proprio furto fatto da burocrati inutili che oltre a derubarci si fanno beffe di noi. Questa è l’Italia nemica di se stessa, l’Italia di chi non fa nulla se non “lavorare” per spazzare via le imprese, chi lavora davvero, l’Italia più sana che adesso però deve dire basta”. C’è chi non è davvero riuscito a trattenersi fra i molti autotrasportatori che da giorni stanno contattando la Fai (federazione autotrasportatori Italiani) di Bergamo per protestare contro la conferma dell’obbligo di pagamento, entro il 30 aprile, del contributo all’Art, l’Autorità di regolazione dei trasporti. Una “tassa occulta prelevata dalle tasche di gente che lavora dalla mattina a sera per fronteggiare una crisi economica senza precedenti e che ha il solo scopo di mantenere in vita l’ennesimo “carrozzone statale” e stipendiare burocrati che non si sa neppure cosa ci stiano a fare”, come l’ha definita un associato più esasperato di altri, contro la quale le associazioni di categoria stanno combattendo da anni (denunciando come l’Art abbia illegittimamente “esteso” con questa “tassa” i propri poteri regolatori su settori e categorie del tutto esclusi dalle funzioni a essa affidate dalla sua stessa legge istitutiva) ma finora senza esito. E così gli autotrasportatori, che già versano un apposito contributo al proprio Albo nazionale, si sono visti “recapitare” l’ordine di pagare, alla faccia dei ricorsi vinti praticamente in tutte le sedi amministrative (tranne che davanti al Tar del Lazio, grazie alla cui sentenza, unica a favore, l’Art si è sentita autorizzata a chiedere anche gli “arretrati”) e nonostante un pronunciamento della Corte costituzionale a loro favorevole. Tutte conferme che l’Art non potrebbe affatto chiedere il versamento dello 0,6 per mille del fatturato di ogni impresa, ma di cui, ha tuonato un associato al telefono, “evidentemente i politici se ne fregano, perché loro sono tutti uguali , compresi coloro che hanno giurato agli elettori che avrebbero cambiato il Paese, perché a loro quello che importa è solo mungere soldi, trovare il modo per mantenere in vita una macchina burocratica che ogni giorno fa di tutto per uccidere le imprese, chi lavora onestamente. Sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno faccia niente”. Una situazione, che non ha simili in Europa, che sembra aver portato almeno una parte del mondo dell’autotrasporto oltre il limite della sopportazione. “Soprattutto perché viene davvero percepita come un furto, compiuto per di più “in casa” di lavoratori già messi in ginocchio dalla pandemia”, confermano i responsabili della Fai di Bergamo, “con moltissimi associati ai quali risulta oggettivamente impossibile capire “perché” dovrebbero pagare questo ente, competente nel settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture, visto solo ed esclusivamente come l’ennesima fabbrica di poltrone per alimentare la mangiatoia della politica italiana”. Un ente i cui compiti (la definizione delle condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto e dei contenuti minimi dei diritti degli utenti nei confronti dei gestori dei servizi e delle infrastrutture di trasporto) “già fanno ridere”, come ha affermato un altro autotrasportatore associato che ha deciso di presentarsi di persona negli uffici della federazione in via Portico a Orio al Serio per “invitare le associazioni di categoria ad andare allo scontro frontale, senza se e senza ma, anche a costo di fermare i camion nonostante l’emergenza”. Definendo “il fermo dei camion” l’unica arma rimasta alla categoria per ribellarsi contro l’ennesimo “furto di Stato che avviene mentre nel Paese crollano i ponti e le gallerie, mentre franano le strade sotto i piedi. Richiedere un ulteriore balzello per un ente che ha la pretesa di regolare i trasporti su strada e non riesce nemmeno a garantire la sicurezza delle strade e di conseguenza degli autisti che vi circolano, è a dir poco paradossale”, ha affermato l’associato. “Ed è paradossale che questi soldi, se devono essere versati, non vengono investiti nelle infrastrutture invece di essere impiegati per garantire il funzionamento dell’ente stesso, per pagare i loro stipendi”. Affermazione che nessuno, dall’altra parte del bancone dell’ufficio, si è sentito di confutare.  Ma non è tutto. Perché “oltre ai violentissimi attacchi contro quella che tutti, indistintamente, considerano una tassa occulta sul fatturato, che non va a colpire il reale “reddito” bensì ogni singola prestazione di trasporto fatturata, con l’autotrasportatore che si vede così ulteriormente diminuire il guadagno di una prestazione già eseguita, già fatturata, già dichiarata e quindi già tassata”, concludono i rappresentanti di Fai Bergamo, c’è anche un altro aspetto: il calcolo della tassa occulta, con l’autotrasportatore che in ormai un brevissimo lasso di tempo, pochi giorni, si vede chiamato a frugare fra montagne di carta per recuperare vecchie fatture nel tentativo di “scaricare” una parte della tasse: escludendo le prestazioni non di trasporto, quelle effettuate con mezzi fino alle 26 tonnellate, i viaggi affidati poi a sub-vettori, i trasporti che non hanno coinvolto la rete autostradale, i trasporti effettuati all’estero”. Una mole di lavoro (dover recuperare tutta la documentazione amministrativa, calcolare la cifra da versare, senza trascurare il fatto di doversi assumere la responsabilità del dato da dichiarar con il rischio che un minimo errore faccia incappare il malcapitato in ulteriori sanzioni e interessi) che molti imprenditori sembrano intenzionati a non affrontare, per non sottrarre tempo prezioso al “lavoro vero”. Preferendo piuttosto pagare tutto, anche se considerano questo una beffa da aggiungere al danno. Una “via” che nessuno dovrebbe essere costretto a seguire ma che la burocrazia più becera sembra invece voler rendere obbligatoria quando offre, apparentemente, ai cittadini di potersi “difendere” (in questo caso “scorporando” una parte di costi), ma creando invece contemporaneamente i presupposti per arrendersi. Rendendo più difficile il percorso per non pagare rispetto a quello per pagare tutto. Anche quando non avrebbe dovuto mai essere richiesto se non per mantenere in vita una burocrazia che l’Italia combatte solo con parole che ormai suonano vuote, false. La protesta monta, sempre più alta e quando avviene, è anche sempre meno controllabile. A cosa porterà? “L’augurio è che chi fino a oggi sembra non aver capito che il contributo all’Art non è davvero giustificato  finalmente lo comprenda. E che la politica corregga finalmente un errore”, è la riusposta dei responsabili di Fai bergamo. “Ne guadagnerebbe, per prima, la credibilità della classe politica”