“Bergamo ha uno straordinario “carico”, del valore di 130 milioni di euro, da “consegnare” al proprio territorio per migliorarne la viabilità. Ora bisogna capire se quella montagna di denaro va davvero “scaricata” dove è stato indicato da chi, la Regione Lombardia, l’ha messa a disposizione, ovvero fra Bergamo e Treviglio per realizzare il nuovo tratto di autostrada destinato a innestarsi sulla BreBeMi, o se invece non sia più utile per l’intero territorio far “cambiare strada” a quei finanziamenti. Per esempio per aprire decine, centinaia di cantieri su strade statali, provinciali e comunali, su ponti e gallerie già esistenti, e spessissimo in pessime condizioni, per fare manutenzione, per metterli in sicurezza. Ma anche per realizzare nuove piccole ma importantissime infrastrutture: a partire per esempio da molte varianti che potrebbero consentire ai mezzi pesanti di evitare di attraversare i centri abitati, risolvendo finalmente problemi rimasti irrisolti per anni o addirittura decenni. Tutti interventi che consentirebbero di agire contemporaneamente su tre fronti: quello della sicurezza, della tutela ambientale e del sociale, frenando, in particolare, lo spopolamento delle nostre valli”. Giuseppe Cristinelli, presidente della Federazione autotrasportatori italiani (Fai) di Bergamo, categoria di lavoratori che sulle strade trascorre gran parte della propria giornata e che quotidianamente si ritrova a pagare, in termini di tempo trascorso in interminabili code (che si traducono puntualmente in “veleno” per l’aria) le conseguenze di una viabilità inadeguata e di una manutenzione insufficiente se non addirittura inesistente, non “chiude a priori le porte” alla nuova grande opera Bergamo-Treviglio, ma le “apre ad altre possibili strade alternative”. Grazie alle quali, sottolinea, “sarebbe possibile non limitarsi ad aiutare solo una “fetta” del territorio, ma tutta la provincia”. Progettando e realizzando proprio “piccole opere che, messe insieme, possono rivelarsi importanti come e forse più delle grandi opere: cantieri in formato ridotto rispetto a quelli di un’autostrada, ma indispensabili per continuare a garantire ovunque trasporti più rapidi, sicuri, sostenibili, con un occhio di riguardo alle aree della provincia già più penalizzate e che senza questi piccoli-grandi cantieri potrebbero subire il definitivo colpo del ko”. Già, perché i cantieri che sono “importanti” per le zone dove le infrastrutture consentono una mobilità comunque sufficiente, accettabile, diventano invece vitali in quelle aree della provincia dove queste condizioni sono invece solo un sogno: come avviene per esempio nelle valli bergamasche, condannate da decenni a non poter avere quello che spetterebbe loro, così come a moltissime aree montane di moltissime altre zone d’Italia Italia. “È una questione di “pari opportunità”, principio giuridico, sancito dalla Costituzione, che punta a eliminare ogni possibile ostacolo e discriminazione sul percorso di ogni persona verso una vita politica e sociale, oltre che opportunità di lavoro, “uguali per tutti”. In parole povere: chi vive a mille metri di quota deve avere le stesse possibilità di muoversi e di far viaggiare le proprie merci, la propria attività, di chi vive al livello del mare”. Il pensiero di Giuseppe Cristinelli corre alle “molte imprese industriali e artigianali che hanno i propri capannoni e laboratori in alta Valle Brembana, in alta Valle Seriana, per le quali “non avere collegamenti adeguati, in un mercato dove il tempo è sempre più denaro e dove il ritardo è sempre più un costo aggiuntivo, significa – e significherà sempre più nell’immediato futuro – non essere più competitivi, spesso cessare l’attività”. Parola di un imprenditore dei trasporti che da anni raccoglie, in federazione, gli Sos lanciati dai colleghi; da un lavoratore che al volante di un camion ha percorso “centinaia di volte strade ripide e strette con la consapevolezza dell’orario di partenza ma nessuna certezza su quello d’arrivo”. Attraversando aree di montagna “nelle quali un’altra attività, il turismo, rappresenta una voce fondamentale per l’economia locale, ma che, senza un’adeguata viabilità, rischia a sua volta d’essere penalizzata se non spazzata via”, come evidenzia sempre il presidente della Fai, “con il risultato che moltissimi abitanti, da chi lavora nelle industrie e nei laboratori artigianali a chi ha attività commerciali o lavora in alberghi, ristoranti, bar, potrebbero vedersi costretti a reinventarsi un’attività. Un rischio ingigantito dalla pandemia di polmonite che a breve vedrà tagliare il traguardo del primo anno d’emergenza e senza poterci fare troppe illusioni sul fatto che l’uscita dal tunnel sia vicina”. Persone che vivono e lavorano in montagna ma che, senza una rete di infrastrutture adeguata, potrebbero non solo essere costrette a “reinventarsi” un lavoro, ma a farlo per di più lontano da casa, in pianura, dove molte imprese stanno pensando realmente a trasferirsi per essere vicine a vie di collegamento che consentano a chi produce di far giungere i propri prodotti in tempi rapidi sul mercato e di essere dunque concorrenziali. Persone, spesso intere famiglie famiglie, che in molti casi potrebbero perfino essere obbligate addirittura a trasferirsi, a lasciare i paesi in cui hanno le proprie origini, parenti, amici, perché dover aggiungere alle spese per il mutuo per la casa o l’affitto anche quelle per percorrere ogni giorno decine e decine di chilometri nel viaggio casa lavoro e lavoro casa, potrebbe diventare un impegno economico insostenibile. “Quello che uno Stato dovrebbe fare per i propri cittadini dovrebbe essere consentire a chiunque, ovunque viva, di avere le stesse possibilità di fare impresa, di godere dei principali servizi, senza favorire chi abita in un’area piuttosto che in un’altra. Mettendo tutti in condizione di “partire”, nella vita di ogni giorno, alla pari con gli altri. È per questo che, senza dire no alla nuova bretella autostradale in pianura, invito tutti a riflettere sulla possibilità che quei finanziamenti possano prendere altre strade: quelle che conducono ad affrontare concretamente alcune priorità che sono rappresentate oggi, sul nostro territorio, da strade che potevano bastare a sopportare il traffico di 40 anni fa; da ponti e cavalcavia sul quali tutti vorremmo passare senza temere un improvviso crollo come quelli, terrificanti, che ci hanno mostrato le immagini in tv; da centri storici intasati da file di mezzi quando basterebbe una piccola variante per scavalcarli. Facendo felici gli abitanti, che potrebbero “reimpadronirsi” dei propri borghi; i viaggiatori, fra cui decine di migliaia di turisti destinati a “portare lavoro” nelle valli, che potrebbero evitare di trascorrere ore bloccati nell’abitacolo dell’auto (oltre che nella cabina di guida di un camion); i milioni d’italiani stanchi di respirare veleni. Perché molti purtroppo non ci pensano, ma una semplice variante, anche di poche centinaia di metri, evitando imbottigliamenti e quindi auto e camion fermi in coda a motore acceso, può “tagliare” montagne di emissioni, di anidride carbonica e polveri sottili. Piccoli interventi, ma capaci di garantire grandissimi risultati”. Quei 130 milioni di euro, destinati a finanziare un tratto di autostrada lungo appena una quindicina di chilometri e gestito da privati e destinati oltretutto ad avere oltretutto pesanti ricadute negative in termini ambientali (con aree verdi della pianura oggi coltivate da sacrificare per far spazio all’asfalto) sono a un bivio. “E prima che possano prendere la strada sbagliata sarebbe opportuno che tutti ci pensassero molto bene” conclude il presidente di Fai Bergamo. Invitando tutti a riflettere sul fatto che una vera ripartenza dell’economia potrà avvenire solo “grazie a una rete di infrastrutture adeguate che funzionino come le vene e i capillari nel corpo umano” come le ha definite lui stesso tempo fa con un felice parallelismo con l’anatomia, “più importanti perfino delle arterie”. Una rete di collegamenti che il presidente della Fai bergamasca ha cerchiato in rosso tempo fa, in occasione di una riunione di Imprese & Territorio, sulla mappa della provincia di Bergamo, per individuare le principali “priorità” alle quali dare risposta, adeguando e mettendo in sicurezza già esistenti (e dunque senza sacrificare altre aree verdi della pianura oggi coltivate per far spazio all’asfalto come nel caso della realizzazione della Bergamo-Treviglio). Il tutto “partendo” proprio da un “riutilizzo diverso” di quei 130 milioni di euro destinati, sulla carta, a realizzare un breve tratto di autostrada gestita da privati e già bocciata da molti perché destinata ad avere ricadute sociali (cancellando posti di lavoro e spopolando intere areee), ambientali (con aree verdi cancellate) oltre che sulla sicurezza (impedendo che, proprio grazie a un finanziamento di questa portata, possano essere sistemati centinaia di chilometri di strade che mostrano in modo chiarissimo i disastri compiuti da decenni di cantieri mai aperti, dall’incapacità di comprendere il ruolo fondamentale delle infrastrutture). Un utilizzo diverso dei finanziamenti regionali peraltro per nulla escluso dallo stesso Pirellone che, per voce dell’assessore regionale alle Infrastrutture trasporti e mobilità sostenibile Claudia Terzi ha affermato, in un’intervista a un quotidiano locale, che “laddove queste somme non dovessero servire per la Bergamo-Treviglio ho già avuto modo di garantire che resteranno in ogni caso sulla provincia bergamasca. E sarà il territorio a stabilire se e come utilizzare queste risorse”. Magari risolvendo in un solo colpo problemi ambientali, sociali e di sicurezza?
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