Potrà viaggiare solo attraverso la formazione scolastica, a partire dalle elementari fino all’Università, la possibilità di frenare il pericolo, più che concreto, che nel giro di pochi anni il settore della logistica italiana possa perdere per strada un quinto dei posti di lavoro oggi garantiti da un settore che occupa complessivamente oltre due milioni e mezzo di lavoratori nelle diverse funzioni dei comparti economici, fra servizi logistici, appunto, ma anche commercio, alberghi e ristorazione, costruzioni, industria. Mezzo milione, i posti di lavoro destinati a scomparire se il mondo scolastico non saprà formare (ma anche aggiornare) figure professionali, dagli operai imballatori e carrellisti agli impiegati addetti ai servizi, a tecnici informatici e manager, in continua e rapida evoluzione. Un settore pronto a essere travolto, da qui al 2027, da un vero e proprio tsunami, come evidenziato dai responsabili di Randstad Research a Piacenza nel corso del convegno “Il futuro dei profili professionali della Logistica”, presentando un rapporto che, dopo aver sottolineato come l’occupazione del settore sia cresciuta dal 2014 al 2018 di oltre il 4,9 per cento rispetto ad una media italiana del più 3,5per cento nello stesso periodo, ha acceso i riflettori sul pericolo che il settore possa presto innestare una pericolosissima retromarcia. E questo “per l’impatto dirompente che potrà avere la digitalizzazione, con l’automazione dei veicoli e carrelli e la sostituzione di lavoratori di ufficio”, con l’obbligo che “almeno 600 mila lavoratori debbano radicalmente aggiornare le loro competenze per stare al passo con i cambiamenti”, come ha sottolineato Daniele Fano coordinatore del comitato scientifico del Ramstad Research. Daniele Fano che ai microfoni di Radio 24, ospite della trasmissione Container condotta da Massimo de Donato insieme con il vicepresidente di Conftrasporto e Confcommercio Paolo Uggè ha fatto risuonare l’allarme per quella ampissima fetta della popolazione del Paese che lavora in questo settore, con un milione e 85mila persone occupate nella logistica come servizio, e altre 800 mila addettie alla supply chain logistica nell’industria. Allarme “controbilanciato” dalla possibilità che “altre opportunità di lavoro possano compensare o addirittura superare quelle perse, a condizione però, come ha sottolineato a più riprese Paolo Uggè, che l’Italia decida d’investire in processi di formazione, con il mondo della scuola che non solo prepari le nuove figure professionali ma sia anche in grado di far comprendere ai giovani le opportunità che può offrire questo mondo”. Seguendo un percorso scolastico che, come sottolinea il documento di Ramstad Research, faccia “comunicazione fin dalle scuole elementari”,permettendo di superare un grande ostacolo per lo sviluppo della logistica “rappresentato dalla mancanza di una narrazione adeguata per attrarre gli studenti e fare presa sulle famiglie”, realizzando quella “sensibilizzazione nei confronti dei nuovi mestieri che deve iniziare dalle scuole elementari e continuare lungo tutto l’arco della vita, ispirando l’orientamento, stimolando l’interesse dei giovani, e non solo, verso la logistica, riuscendo a comunicare come sia un potente motore di innovazione e trasformazione al centro di processi indispensabili, come lo sviluppo dell’economia circolare, il controllo delle filiere degli scambi al servizio dell’industria e dei servizi, il miglioramento dell’ambiente in senso ampio”. Logistica dunque come possibile grande rischio, ma anche come grande opportunità. Tutto dipenderà dalle strade che saprà prendere chi guida il Paese. “Il dialogo aperto dalle associazioni di categoria con il ministero dell’Istruzione, con l’Università”, sono validi presupposti”, ha commentato Paolo Uggè, “per aprire un percorso verso il grande cambiamento in corso nel modo di operare, con la prospettiva che il 50 percento delle merci possa in futuro viaggiare su mezzi in grado di muoversi autonomamente, con l’accorciamento delle filiere che diventerà elemento essenziale. Ma il lavoro da fare è tantissimo e richiede innanzitutto la necessità di avere poche regole ma applicate.Senza dimenticare di mettere a disposizione delle nuove figure professionali infrastrutture adeguate per mettere in pratica la teoria. Perché per competere occorre connettersi, e se non lo farà, realizzando strade, ferrovie, collegandole adeguatamente con porti e interporti, l’Italia resterà ancora una volta indietro”.