L’Italia apre alla via della Seta. Ma se non apre nuove vie verso l’Europa sarà un boomerang

Un’apertura dell’Italia alla Cina, spalancando le porte alla via della Seta, ma senza aprire nuove vie di collegamento fra l’Italia e l’Europa, lasciando la catena delle Alpi a fare da “tappo”, senza nuove infrastrutture competitive in grado di connetterci all’Europa, a iniziare dalla Tav, rischia di portare solo a un’invasione del mercato italiano di merci asiatiche, con conseguenze sulla produzione e sulla occupazione. A lanciare l’allarme è il vicepresidente di Conftrasporto e Confcommercio Paolo Uggè che intervistato da Il Giornale non ha perso un solo istante ad accendere i riflettori sui possibili pericoli dell’accordo a sostegno della Bri (la Belt and Road Initiative, il grande e discusso programma della Cina per costruire infrastrutture in più di 65 Paesi del mondo unire Oriente a Occidente, tramite diversi corridoi compresi quelli marittimi e via terra verso il Vecchio Continente, che potrebbero avere i porti italiani come terminali europei) annunciato in un’intervista al Financial Times da Michele Geraci sottosegretario allo Sviluppo economico. Accordo che potrebbe essere siglato a brevissimo, in tempo per la visita di Stato del presidente cinese Xi Jinping fissata il 22 marzo, e che secondo Paolo Uggè, senza nuovi collegamenti con l’Europa, potrebbe portare solo a una invasione di prodotti Made in China, venduti a minor prezzo (anche perché nettamente di minor qualità) mettendo in ginocchio le nostre imprese. Pericoli per l’Italia pronti a correre a tutta velocità sulla nuova via della Seta ribaditi al “Giornale” anche da Luigi Merlo, presidente di Federlogistica Conftrasporto, secondo il quale “il rischio è di confondere la necessità di aumentare lo scambio commerciale con la crescente posizione egemonica della Cina. Occorre evitare ogni costo la politica del carciofo, cedere, uno alla volta, partecipazioni, gestioni a lungo termine o investimenti in infrastrutture strategiche europee, porti, autostrade e scali, lasciando in definitiva le leve di comando a Stati terzi”.