“Vendono ai cinesi i nostri porti per quattro soldi. Il titolo d’apertura in prima pagina sul quotidiano Libero ha riacceso i riflettori, lasciati colpevolmente spenti da altri organi d’informazione, su un pericolo gravissimo per il futuro economico del nostro Paese che forse in pochi hanno davvero capito ma che di certo in troppi hanno invece perfettamente compreso, preferendo però fingere di non vedere. Ovvero che la via della Seta, il mega progetto da 113 miliardi di euro varato dai cinesi per conquistare i mercati dell’Occidente, possa trasformarsi per l’Italia da una grande opportunità in un devastante rischio”. Ad affermarlo è il presidente di Conftrasporto e vicepresidente di Confcommercio Paolo Uggè che ha preso spunto dall’articolo pubblicato dal quotidiano diretto da Vittorio Feltri per tornare a denunciare “l’importanza vitale di una scelta che la politica italiana è chiamata a fare di fronte a un crocevia decisivo per lo sviluppo del Paese”, sottolineando come” solo “mantenendo la gestione dei propri scali l’Italia potrà percorrere la via della Seta per raggiungerei importanti traguardi”, mentre “cedendo ad altri la gestione trasformerà un’opportunità in un terribile boomerang. Svendendo ai cinesi un tesoro che l’Italia possiede e di cui non ha purtroppo compreso il valore”. Un tesoro (la sua posizione geografica, di autentica piattaforma logistica del Mediterraneo) destinato ad avere un immenso valore solo se, come lo stesso presidente di Conftrasporto afferma da tempo ” verrà valorizzato attraverso una politica realmente capace di varare un sistema portuale, davvero in grado di saper progettare e realizzare una rete di infrastrutture che dai porti italiani conduca, via asfalto e via rotaia, in tutta Europa. Perché senza una visione globale della gestione dei nostri scali, senza una rete di infrastrutture adeguate che colleghino la retroportualità con le grandi vie di collegamento col vecchio continente l’Italia sarà bypassata, come Conftrasporto va denunciando da tempo, creando un collegamento sulla terraferma che dal Pireo, porto guarda caso acquistato dai cinesi, conduca nel Nord Europa attraverso i Balcani”. Una manovra destinata a tagliar fuori il Belpaese dalle sfide commerciali del futuro, ma che ora sembra vedere la Cina fare retromarcia, disposta a tornare a guardare con interesse allo Stivale dopo averle preferito la Grecia, stanca della nostra incapacità politica di dare risposte concrete… “Naturale: nessun altro Paese affacciato sul Mediterraneo può offrire le stessa potenzialità che offrono, sul Tirreno, le aree portuali di Genova, Savona e La Spezia e, sull’Adriatico, il sistema della portualità di Trieste, Venezia e Ravenna”, taglia corto Paolo Uggè. “Il progetto di scavalcare l’Italia, colpevole di avere una macchina burocratica oggettivamente capace di affondare qualsiasi velleità imprenditoriale, aprendo un corridoio balcanico, esiste sempre e rappresenta per l’Italia un pericolo mortale. Ma ha diversi rovesci della medaglia e i cinesi questo lo sanno benissimo. Per questo sono sempre interessati a “ripartire” dai nostri porti. Il problema ora è però di non concedere loro la gestione: se l’Italia davvero svenderà ai cinesi i propri scali commetterà un errore fatale. Se invece riusciremo a gestire noi il sistema, la via della Seta potrà davvero rappresentare una straordinaria opportunità. Libero, che ha pubblicato un’analisi del professor Claudio Sabelli, illustre economista e docente universitario, ha fatto un quadro preciso della situazione: l’Italia può scegliere di ripartire, oppure di buttare a mare un’opportunità unica”.