Ilva, non sbagliamo due volte. Significherebbe “uccidere” due settori in un colpo solo

Nessuno intende certo avallare tentazioni localistiche o mettersi contro scelte che appartengono alla politica e alle scelte aziendali, ma il “caso Ilva” di Taranto, con le possibili conseguenze che gli interventi  portati avanti da amministratori locali possono produrre, non può non imporre delle riflessioni. A Taranto, a distanza di un paio d’anni, si sta ripetendo quanto già successo con Evergreen, compagnia che attraverso la società partecipata Tct, Taranto container terminal, aveva individuato proprio il porto pugliese come base logistica nella quale lavorare il numero maggiore di merci destinate ad approdare con il raddoppio del Canale di Suez. L’investimento assicurato per lo sviluppo dell’area portuale era di 100 milioni di euro e le prospettive decisamente interessanti visto che, come  confermato dai dati registrati in altre zone portuali, avrebbe generato incrementi occupazionali di grande rilevanza. E questo grazie al fatto che un container “lavorato”, cioè oggetto di attività logistiche come il deposito in magazzino, la separazione delle merci, il confezionamento, in media  dà un valore aggiunto  pari a 2300 euro mentre la sola parte distributiva ne genera 300. Purtroppo la politica dei divieti ha ostacolato gli interventi necessari e il mancato adeguamento dello scalo pugliese, messo in programma nel 2012 con uno specifico accordo, nel 2015 ha indotto l’investitore a spostarsi sul porto del Pireo. Oggi il tema è quello della ripresa produttiva dell’Ilva che, nel caso non avvenisse, rischierebbe di avere conseguenze pesantissime, portando al disastro l’intero sistema siderurgico italiano. Come ha evidenziato appropriatamente in un articolo pubblicato sul quotidiano Libero il professor Bruno Villois, per il ciclo industriale la siderurgia è indispensabile. Il settore metalmeccanico e le costruzioni sono connessi al sistema. Perdere il maggior impianto produttivo significherebbe essere costretti a fare i conti con significative differenze per il costo dei manufatti. A tutto questo si aggiunge poi  il tema del trasporto. Forse qualcuno dimentica che tutti questi prodotti debbono compiere tratti stradali e che nella gran parte dei casi servono veicoli eccezionali in grado di trasportare pezzi indivisibili unici o più pezzi divisibili? Di certo non potrà far finta di scordare che, a un anno abbondante di distanza dal crollo del ponte di Annone Brianza, in provincia di Lecco, questa attività di trasporto si è praticamente paralizzata. Al di là di chiacchiere o interventi scoordinati, gli enti proprietari delle strade accampano motivazioni variegate e non concedono le autorizzazioni necessarie. Col risultato, drammatico, di penalizzare non solo l’attività delle imprese di autotrasporto, ma dell’intero comparto siderurgico visto che non è in grado di assicurare la consegna di prodotti destinati all’esportazione. Così si perdono appalti e chi vuol continuare a fare impresa si trasferisce all’estero. La classe politica a volte sembra perdersi in sofismi ma è proprio non occupandosi dei reali problemi delle imprese e della gente che si lascia spazio ai venditori di illusioni e di speranze vane. Così il Paese va a rotoli.

Paolo Uggè, presidente di Fai Conftrasporto e vicepresidente di Confcommercio