Seicentomila container in fuga dal porto di Genova “affondato” nello scontro con Rotterdam

Un porto può rappresentare una risorsa economica incredibile per un Paese. Guardare, per credere, al porto di Rotterdam, esempio di come una città sul mare consenta di trasformare in uno straordinario business il settore del trasporto merci e della logistica. Esattamente il contrario di quanto accade in Italia, Paese al quale madre natura ha “donato” il ruolo di  piattaforma ideale nel Mediterraneo. Un esempio? Il porto di Genova che ogni anno vede “fuggire” proprio verso Rotterdam qualcosa come 600mila container destinati o provenienti dalle regioni del Nord Italia, dalla Svizzera, dalla Germania del Sud. Una “fuga” illogica, se banalmente si guarda una cartina geografica, ma comprensibilissima se si analizza la differenza, in termini di qualità e rapidità dei servizi, offerta dallo scalo italiano e da quelli del Nord Europa. 

Risultato: un “buco” a nove zeri nei possibili fatturati del Belpaese e circa diecimila lavoratori costretti alla disoccupazione. E come non bastasse la situazione è destinata a peggiorare perché se l’apertura del tunnel del Gottardo, inserita nel corridoio Ue Genova-Rotterdam, è considerata dalla Svizzera un’opera fondamentale per lo scambio merci con l’Italia, è altrettanto certo che al corridoio manca la tratta finale, ovvero quella che dal Piemonte e dalla Lombardia arriva a Genova e che sarà completata solo nel 2021. A tutto vantaggio, ancora una volta, di Rotterdam, che disporrà di una via in più per “rubare” traffico che, almeno sulla carta, dovrebbe avere come punto d’arrivo e di partenza più logici proprio i porti liguri e, in particolare, Genova. L’ennesima dimostrazione d’incapacità nel gestire un Paese puntualmente fotografata da un articolo pubblicato sul numero della rivista delle Ferrovie svizzere dedicato al Gottardo, nel quale si legge che “il vantaggio di cinque giorni di navigazione offerto dai porti liguri rispetto al Nord Europa viene vanificato dalle carenti capacità di trasbordo. Di conseguenza oggi una parte cospicua delle merci destinate al Sud Europa viene scaricata nei porti del Nord e spedita al Sud via terra”. E a rincarare la dose, ci ha pensato Emilio Rossi, economista partner di Oxford Economics spiegando, in uno studio dal titolo “Milano riscopre il suo porto. Perché Genova è la scelta più conveniente per le imprese lombarde”, che “Rotterdam, e più in generale i grandi porti del Nord Europa, nel corso degli anni hanno saputo fare sistema contro i concorrenti del Sud, sviluppando infrastrutture di mare e di terra straordinarie, creando un gap che solo ora l’Italia sta cercando di colmare. La lezione, dovendo riassumere, è questa: loro non hanno disperso risorse, noi abbiamo fatto esattamente il contrario”. Uno studio che denuncia la totale incapacità di realizzare reti ferroviarie adeguate e che invoca a gran voce la realizzazione del Terzo valico, “un’opera fondamentale per consentire alle merci di arrivare con velocità a destinazione”, per permettere alle merci di spostarsi dal Tirreno alla Pianura Padana con tempi competitivi. Senza dimenticare un passaggio importantissimo, ovvero che realizzare  la grande striscia di binari lunga 53 chilometri per completare il corridoio merci tra il Nord Europa e il Mar Ligure senza completare contemporaneamente anche la rete di collegamenti dell’opera con Milano e Torino sarebbe un autentico disastro. In perfetta sintonia con quelli compiuti, a livello di progettazione e realizzazione, negli ultimi decenni da una classe politica evidentemente incapace di comprendere l’importanza della logistica e dei trasporti per lo sviluppo economico di un paese. Anzi, di un Paese che con le sue migliaia di chilometri di coste, se gestito adeguatamente, avrebbe potuto trasformare i suoi porti in miniere d’oro. Proprio come ha saputo fare Rotterdam…