Sono intervenuti in molti per commentare la decisione del Governo di emanare un decreto legge sull’autotrasporto. Esperti e giuristi si sono affannati a interpretare, senza tuttavia approfondire a fondo né le ragioni che hanno portato all’approvazione del decreto, né i contenuti reali. Stiamo parlando di un provvedimento urgente che ha recepito i contenuti dell’accordo raggiunto, dopo sette mesi di estenuanti trattative, tra governo, utenza e autotrasporto. È bene evidenziare che l’intesa ha registrato la condivisione della quasi totalità delle federazioni dell’autotrasporto, quindi non solo quelle dei padroncini, ma anche di imprese strutturate aderenti a Confindustria, del mondo della cooperazione, delle sei confederazioni aderenti a R.ET.E Imprese Italia. Unica realtà che non ha condiviso nessuna parte del protocollo, Confindustria. L’intesa non fa altro che completare la riforma della liberalizzazione regolata, avviata nel 2005 dal governo Berlusconi, congelata dal governo Prodi che addirittura aveva provato a reintrodurre una tariffa minima obbligatoria antidumping. L’accordo non prevede, a differenza di quanto sostenuto dagli “esperti” intervenuti, alcun ritorno alle tariffe minime obbligatorie, ma norme a salvaguardia della sicurezza. Occorre ricordare che la riforma, introdotta con la legge 32/05, si basa sul principio del rispetto delle disposizioni sulla sicurezza sociale, della circolazione e sui controlli mirati. Garantire una maggior sicurezza è uno dei compiti fondamentali per un governo serio, così come consentire a un giudice o a un terzo interessato di poter richiedere il riconoscimento dei danni, eventualmente subiti, per comportamenti irregolari tenuti, nella fattispecie, dai conducenti dei mezzi pesanti. Per questo l’azione di responsabilità si estende nei confronti di coloro che affidano l’esecuzione di servizi di trasporto, con disposizioni incompatibili con la sicurezza sociale e la circolazione. Accertate le responsabilità, scatta il principio, già oggi previsto, della corresponsabilità. E’ davvero singolare che chi invoca trasparenza, tracciabilità e la legalità, sottoscrivendo anche dei protocolli sulla legalità, si scagli contro un’iniziativa che va proprio in quella direzione. Qualcuno si è permesso di definire “ricatto dei padroncini” l’attuazione di una libera intesa sottoscritta. La condivisione ampia di realtà associative dimostra l’esatto contrario. Sarebbe interessante conoscere dagli strenui paladini della sicurezza e della legalità se un trasportatore che percepisce, da intermediari, 46 euro per un tragitto da Torino ad Asti possa operare nel rispetto delle regole della sicurezza sociale o della circolazione e soprattutto sapere se invece non sia giusto e più rispondente alla tutela dei consumatori prevedere che, attraverso contratti scritti, sia possibile accertare le responsabilità di chi, sfruttando la debolezza per lo più di piccole imprese, mira solo al proprio tornaconto, infischiandosene di quanto possa essere scaricato sulla collettività. Ultima (ma non per importanza) annotazione: quanto disposto nel decreto e tanto criticato non è una novità. In Italia le norme primarie risalgono al 2005, ma sono in atto anche in altri Paesi, come la vicina Francia. Consentire di individuare costi minimi mediante il confronto non mi pare sia configurabile con il vocabolo imposizione. Ma un’operazione di disinformazione come quella avviata nelle ultime settimane potrebbe far credere il contrario…
Paolo Uggé