Tariffe e costi minimi del trasporto sono cose diverse. Parola d’esperto

Da una parte il Governo, i Consiglio dei ministri, le associazioni dell’autotrasporto; dall’altra Confindustria e l’Antitrust. Le novità in tema di autotrasporti (soprattutto in materia di sicurezza sociale, strettissima discendente dei costi minimi di trasporto che, se ridotti ai minimi termini da una concorrenza sleale, impediscono una corretta manutenzione del mezzo e il giusto riposo dei conducenti, trasformando automaticamente migliaia di tir in “bombe a orologeria” in circolazione su strade e autostrade) hanno creato due schieramenti opposti, che da mesi si stanno combattendo, senza esclusione di colpi. L’ultimo “attacco” contro le nuove norme in materia di autotrasporto (nonostante siano state già approvate dal Senato) è stato sferrato nei giorni scorsi direttamente dal presidente dell’Antitrust, Antonio Catricala, che ha praticamente chiesto al Governo di fare una clamorosa retromarcia. Cancellando un accordo sottoscritto dal Governo stesso al termine di sette mesi di trattative; facendo finta che il decreto legge sottoposto dal ministro Altero Matteoli al Consiglio dei ministri, e da quest’ultimo approvato, non sia mai esistito… Una richiesta che fa perno su un concetto, quello della reintroduzione delle tariffe minime per l’autotrasporto, abolite 14 anni fa, e sul quale da settimane Confindustria e Antitrust  puntano i riflettori mentre per autotrasportatori e governo le tariffe in questo accordo non c’entrano nulla, visto che si parla in realtà di un’altro concetto: i costi minimi per la sicurezza. Qualcuno sta, strumentalmente, giocando con le parole?  E che differenza c’è fra le tariffe e i costi minimi? E, ancora, è vero, come sostiene l’Antitrust, che il decreto legge violerebbe le disposizioni sulla libera concorrenza,  perchè le tariffe minime sarebbero incompatibili con le regole della concorrenza? E rientra nei compiti istituzionali dell’Antitrust chiedere al Parlamento di non votare un decreto legge? Domande fondamentali per chiarire una volta per tutte la vicenda, domande che Stradafacendo ha posto a uno dei massimi esperti in materia di autotrasporto d’Italia, l’avvocato Natale Callipari, autore, tra l’altro, del testo “Il contratto di autotrasporto di merci per conto terzi”, edito da Giuffrè Editore nel 2009.

Avvocato, la stampa nazionale (in particolar modo il quotidiano economico “Il Sole 24 Ore” continua a parlare di “ritorno alle tariffe minime” nell’autotrasporto mentre gli autotrasportatori affermano che nel decreto legge chiesto dal ministro Matteoli e approvato dal Consiglio dei ministri si parla di “costi minimi per la sicurezza sociale” che sono tutt’altra cosa. Ci spiega qual è la differenza fra “tariffe” e ” costi” minimi? “Il sistema delle tariffe cosiddette “a forcella” (così chiamate perché oscillabili tra un valore minimo e uno massimo stabiliti autoritativamente per decreto ministeriale), previsto dalla legge 298/1974, era un meccanismo vincolistico di determinazione del prezzo del trasporto, congegnato – secondo la dichiarata intenzione del legislatore di allora – per assicurare ai vettori una equa remunerazione del servizio reso. In buona sostanza, l’applicazione dei  coefficienti numerici ottenuti in base ai parametri fissati dalla legge (distanza, peso tassabile, classe merceologica) avrebbe dovuto garantire all’impresa vettoriale, oltre alla copertura dei costi, anche una componente di ricavi sufficiente a consentirne la sostenibilità nel tempo. I costi minimi della sicurezza, introdotti dal recentissimo decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 16 luglio non nascono con l’obiettivo di assicurare agli autotrasportatori un margine di profitto minimo mediante l’imposizione di un tariffario parzialmente bloccato, come accadeva, invece, nel precedente regime delle tariffe a forcella. Ciò che viene prescritto è semplicemente che nella fissazione del corrispettivo non si può in ogni caso scendere al di sotto di una soglia inderogabile rappresentata dalla copertura dei costi minimi di sicurezza, rappresentando quest’ultima un’esigenza insopprimibile collegata non agli interessi particolari di una singola categoria economica  bensì alla tutela di superiori interessi pubblici quali la sicurezza stradale e sociale”.

Secondo l’Antitrust il decreto legge violerebbe le disposizioni sulla libera concorrenza,  perchè le tariffe minime sarebbero incompatibili con le regole della concorrenza. Secondo lei esiste questa violazione? “Ritengo di dissentire dall’opinione, pur autorevole, espressa al riguardo dal presidente Catricalà, giacché nella fattispecie si tratta di semplici costi minimi di un servizio commerciale, i quali non hanno alcuna incidenza negativa sul pieno svolgimento della concorrenza tra gli autotrasportatori, ai quali, pertanto si continuerà a riconoscere la libertà di agire sul prezzo, salvo soltanto il divieto di degenerare negli eccessi del dumping che mette a rischio la sopravvivenza della categoria e la sicurezza degli utenti della strada.  Del resto, la stessa  disciplina europea sui trasporti intracomunitari, se da un lato ha liberalizzato il regime dei prezzi del servizio tra uno Stato membro e un altro, dall’altro ha lasciato i  singoli Stati liberi di dettare una regolamentazione diversa per i trasporti nazionali. È ammissibile, pertanto che i singoli ordinamenti nazionali, sulla base delle criticità riscontrate nel trasporto domestico di merci, decidano d’intervenire in via cogente sul meccano di fissazione dei noli mediante l’imposizione di valori minimi inderogabili dalle parti. Ciò evidentemente viene previsto non per consentire la difesa di interessi corporativi di una singola categoria – come erroneamente paventato dal professor Catricalà – ma nell’ottica di preservare il settore da manovre sui prezzi nocive per la sicurezza dell’intera collettività. Del resto, come si ricorderà, uno degli obiettivi fissati nel 2001 dalla Commissione Europea nel Libro Bianco dei Trasporti era proprio quello di dimezzare il numero di sinistri stradali entro il  2010. E’ indiscutibile che un provvedimento del genere di quello di cui stiamo parlando va sicuramente in questa direzione”.

Già in passato due sentenze della Corte di giustizia europea avevano “smentito” l’Antitrust in materia…. “La Corte di Giustizia CEE, chiamata a pronunciarsi sul tema, in due successive occasioni (sentenza 5 ottobre 1995, causa C- 96/94 e sentenza 1 ottobre 1998, causa C-38/97), ha, infatti, affermato la compatibilità del sistema tariffario italiano con le norme del Trattato in tema di concorrenza, in quanto le tariffe non costituiscono intese a norma dell’art. 85 (oggi art. 81), né danno luogo a posizioni dominanti collettive a norma dell’art. 86 (oggi art. 82) del Trattato istitutivo. Non vi è, pertanto, ragione di gridare allo scandalo se oggi il legislatore italiano, consapevole dei disequilibri presenti nel sistema del trasporto stradale nazionale, ha deciso di porre rimedio agli effetti più deterrenti della cronica debolezza degli autotrasportatori verso la committenza disegnando un meccanismo di salvezza dei costi della sicurezza”.

Perchè l’Antitrust continua a parlare di “tariffe” e non di “costi minimi” come richiesde invece a gran voce il presidente nazionale di Fai Conftrasporto Paolo Uggè. Qualcuno “gioca” con le parole? “I rilievi dell’Antistrust su una presunta non conformità al diritto comunitario di interventi legislativi sul prezzo dell’autotrasporto non sono affatto nuovi. Risalgono già al 20 maggio 1993 analoghe censure mosse contro l’allora vigente regime delle tariffe a forcella ritenuto contrario alla libera concorrenza ” in quanto falsa il meccanismo di formazione della tariffa d’autotrasporto”. E’ inutile dire che queste critiche non hanno mai trovato accoglimento nella giustizia comunitaria che, come già detto, tutte le volte in cui è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione, ha sempre confermato la legittimità della scelta del legislatore italiano d’intervenire autoritativamente sui prezzi del servizio d’autotrasporto. Credo che questa preventiva opposizione avverso i costi minimi di sicurezza nasca da un preconcetto di fondo circa la natura pretesamente assistenzialistica di questi ultimi, quando, in realtà, la norma che li prevede non assicura  alcun margine di utile ai vettori, dato che gli importi a cui ci si dovrà adeguare pareggeranno esclusivamente i costi aziendali concernenti la sicurezza. Chi vorrà ottenere corrispettivi più alti dovrà pur sempre mettersi d’accordo con la committenza secondo le comuni regole di mercato. Credo che questa semplice osservazione basti a fugare ogni preoccupazione sulla reale portata della nuova disciplina”.

Rientra nei compiti istituzionali dell’Antitrust chiedere al Parlamento di non votare un decreto legge? “Certamente no. È vero che tra le funzioni istituzionali dell’Antitrust rientra la possibilità di esprimere pareri sulle norme che regolano il mercato e di segnalare al Parlamento, al Governo ead enti territoriali le situazioni distorsive della concorrenza, ma tale compito non può mai trascendere al punto da invocare il siluramento in fase di conversione di un decreto legge appena approvato dal Governo. La funzione legislativa, com’è noto, appartiene per dettato costituzionale  al Parlamento, i cui membri sono espressione immediata e diretta della volontà popolare per esservi stati eletti mediante consultazioni libere. Non si può pertanto pensare di condizionarne l’orientamento senza con ciò integrare una indebita intromissione nell’ambito delle sue competenze esclusive; a maggior ragione quando ad intervenire è un’autorità indipendente con mere funzioni di controllo e, come tale, priva di responsabilità politica verso gli elettori”.