L’amministratore delegato di Toyota Italia è stato iscritto nel registro degli indagati per omicidio colposo. È il pubblico ministero di Massa Carrara, Federico Manotti, ad aver assunto la decisione, a seguito di due fatti rilevanti: il primo legato al decesso di una studentessa, avvenuto lo scorso 24 gennaio, che alla guida di una Toyota Aygo è andata a schiantarsi contro un palo, a quanto pare in assenza di una giustificazione, tecnica o logica che sia; il secondo legato alla lettera che la Toyota ha inviato ai propri clienti con l’invito a presentarsi per un controllo di sicurezza dell’acceleratore della vettura, ricevuta dalla famiglia della ragazza successivamente al grave evento.
Una sequenza temporale così ravvicinata che ha comportato la decisione della presentazione immediata di un esposto, e che ha condotto la procura a compiere una serie di ulteriori accertamenti peritali tesi alla verifica approfondita delle componenti tecniche del veicolo. Qualora i difetti dichiarati dalla casa relativi all’acceleratore risultino essere presenti anche sul veicolo coinvolto nell’incidente mortale, la conseguenza per l’amministratore di Toyota Italia potrebbero, il condizionale è d’obbligo, avere una deriva penale. È bene, infatti, precisare che la “ratio” dell’iscrizione nel registro degli indagati dell’ad di Toyota Italia sta nel fatto che si permette agli esperti dell’azienda automobilistica di poter partecipare alle verifiche.
Gli esiti del procedimento sono senza alcun dubbio da tenere sotto osservazione. Difficile pensare che d’ora in poi si possa invocare un “difetto di produzione” ogni qualvolta un evento si verifichi senza apparenti motivazioni, con la conseguente necessità di una analisi più approfondita dell’elemento tecnico progettuale-costruttivo. Certo è che il fatto è assolutamente singolare. In poche occasioni è, infatti, stata tentata la strada della dimostrazione di una colpa al costruttore per difetto di fabbricazione, nel caso di un incidente.
Si ricorda, per esempio, la sentenza che nel 1999 vide la condanna di Volvo e Mitsubishi in due processi riguardanti l’uno un tristissimo incidente stradale del 1999 in cui persero la vita due bambini, e l’altro lo schianto mortale di un camionista. In entrambi gli eventi, le case costruttrici si sono viste giudicare come responsabili di omicidio colposo. In uno dei terribili incidenti un uomo a bordo del suo camion Mitsubishi perse il controllo del veicolo, causa problema di frizione, e si schiantò contro un muro. Nell’altro una donna a bordo di una Volvo 850 TDI tentò una brusca frenata che, causa dei problemi ai freni, non avvenne e coinvolse in modo mortale due sfortunati bambini.
Dure le sentenze: Catherine Kohtz, guidatrice della Volvo, è stata condannata a sei mesi con sospensione della pena, con inoltre una salata multa di 446 dollari. La casa automobilistica svedese è stata invece giudicata responsabile di omicidio colposo per l’errore tecnico nella costruzione del veicolo (freni), e quindi condannata a pagare una mega-multa da 200mila euro.