Le città sono inquinate anche da politiche sbagliate

Chi è nato a Milano ricorderà quando scendeva, e il fenomeno si registrava per diverse settimane, la “scighera”, termine meneghino per indicare un certo tipo di nebbione denso e ricco di fuliggine. Negli Anni 80, chi utilizzava l’aereo da e per Linate molte volte, causa nebbia, si trovava con il volo annullato. Oggi a Milano non è più così e il tema inquinamento è stato trattato da tutti i media. Il “caso Milano” è diventato uno strumento di lotta politica. Nessuno intende sottovalutare il problema.

Ciò che non si comprende è la ragione per la quale non vengano considerati i dati scientifici sulla reale portata dei danni per le persone che l’inquinamento produce, resi noti da uno scienziato del calibro di Umberto Veronesi. Evidentemente l’obiettivo non deve essere la salute, ma altro. Altrettanto vengono taciute alcune verità, come il miglioramento indiscutibile della qualità dell’aria delle nostre città e il fatto che le polveri non scelgono il centro o la periferia ma sono mobili. La dimostrazione viene dai dati di domenica. A Milano, non certo per il divieto di circolazione ma perché si è alzata l’aria, i valori sulla presenza delle polveri sono diminuiti. Perfino il vice direttore nazionale di Legaambiente definisce una farsa la decisione di impedire la circolazione. Le affermazioni, attribuite al ministro Matteoli, che sostengono l’oggettiva difficoltà a non utilizzare una misura inutile da parte degli amministratori, preoccupati di non incorrere in avvisi di garanzia, confermano come la questione ambientale appartenga prevalentemente alla polemica politica. I magistrati, in genere, intervengono per dare applicazione a leggi che sono state volute da coloro che rappresentano il popolo. Questo fa emergere come vi sia una responsabilità reale di una classe politica che ha favorito la formazione di normative che oggi le si ritorcono contro. Questo è successo perché si è preferito seguire la ricerca del facile consenso assembleare e dei gruppi di interessi più o meno forti piuttosto che ricercare, nell’interesse del Paese, soluzioni globali in una logica di sistema. La politica dei divieti episodici serve forse a evitare le denunce (a tale proposito non si capisce perché si siano aperti provvedimenti nei confronti di Milano e della Lombardia e non di altre realtà), ma non certamente a dare risposte alla questione ambientale. Ciò che serve è una politica dei trasporti che affronti il tema della mobilità nei centri urbani, dove è allocato oltre il 70 per cento della popolazione europea, nel 2040 sarà l’84 per cento, e il costo della congestione che è pari, come evidenzia il Dpef, a 9 miliardi di euro all’anno. Il tema è stato affrontato in un convegno, organizzato dal Cnel, nella giornata di martedì, nel corso del quale Conftrasporto ha lanciato l’idea di ripartire dalle proposte contenute dal Piano d’azione europeo, realizzando un Patto per la mobilità urbana che migliori l’accessibilità delle persone e merci, che favorisca lo sviluppo del trasporto in conto terzi, in grado di razionalizzare la gestione della raccolta e della distribuzione delle merci meglio del conto proprio. I flussi di traffico devono rispondere a concetti premiali in ragione del potere di inquinamento dei mezzi utilizzati, organizzando i servizi nelle città in modo da eliminare ogni ostacolo alla fluidità, come per la raccolta dei rifiuti. Solo con un piano condiviso dagli operatori e dalle istituzioni si potrà in futuro eliminare misure temporali ma soprattutto migliorare la qualità della vita delle nostre città. Questi concetti non sono nuovi, ma tutti contenuti nel Patto per la logistica realizzato nel 2005 ma fino a oggi accantonato.

Paolo Uggè