L’epidemia non viaggia in Tir: un’indagine su 2900 camionisti bergamaschi smonta le “accuse”

“Untori a chi? Non so cosa abbia spinto qualcuno a creare tutti i presupposti per “criminalizzare” i camionisti, indicandoli fra i principali responsabili della diffusione del contagio, ma spero solo abbia le prove di quanto afferma e che le esibisca immediatamente. O, in caso contrario, si assuma le proprie di responsabilità. Perché fare simili affermazioni, senza averne la certezza, inconfutabile, sarebbe di una gravità incredibile”. Non indossa la toga dell’avvocato Fabrizio Rottoli, autotrasportatore bergamasco alla guida di Ebitral, Ente bilaterale del trasporto e della logistica composto da Fai Bergamo e dai sindacati provinciali di categoria che fanno riferimento a Cgil, Cisl e Uil, ma dimostra di trovarsi perfettamente a proprio agio nel ruolo di difensore di un’intera categoria messa sotto accusa da chi, dalle pagine di un quotidiano nazionale, ha affermato senza mezzi termini, che “ il virus corre su strade e autostrade trasportato dai camion”.Un “avvocato difensore” particolarmente abile soprattutto quando, dalle “carte processuali”, estrae a sorpresa un documento che sembra demolire le affermazioni dell’esperto: i risultati di un’indagine fatta dalla stessa Ebitral, su un campione di 2880 camionisti della provincia di Bergamo, da cui risulta che i camionisti risultati positivi sono stati lo 0,56 per cento, nettamente al di sotto della media nazionale. “ E stiamo parlando di una “radiografia” fatta non una provincia italiana qualsiasi, ma in quella che è stata letteralmente massacrata dall’epidemia, con un tasso di mortalità che fra marzo e aprile ha fatto segnare un aumento del 400 per cento, rispetto allo stesso periodo di un anno fa, contro il 20 per cento di morti in più registrati mediamente a livello nazionale”, spiega Fabrizio Rottoli, perfettamente consapevole di “non possedere alcuna conoscenza scientifica”, ma altrettanto certo “che esitano ottime probabilità che qualcuno abbia preso una colossale cantonata. E non solo perché chi ha indicato nei camion il possibile principale veicolo di contagio afferma che “sarebbe interessante verificare la frequenza dei contagi in questa categoria”, cosa che lascia ritenere che una verifica non sia stata fatta, ma soprattutto dal fatto che se fossero veri certi “teoremi accusatori” formulati in Bergamasca, il campo di battaglia più “insanguinato di questa guerra batteriologica”, avremmo probabilmente dovuto registrare una “strage” di contagiati o addirittura di vittime anche fra coloro che dovrebbero essere i presunti principali “veicoli dell’epidemia da Covid 19”.Cosa che dall’indagine realizzata fra i dipendenti delle imprese di autotrasporto associate all’Ente bilaterale del trasporto, osservatorio permanente costituito per “guardare” da vicino i problemi economici e sociali del settore e analizzarne le possibili soluzioni, non risulta affatto”. Un’arringa difficile da confutare quella di Fabrizio Rottoli, preparata a difesa non di una categoria qualsiasi, ma di “decine di migliaia di persone che ogni giorno, a Bergamo come in tutta Italia, mettono a rischio la propria salute e la propria vita per consegnare prodotti alimentari nei supermercati e nei negozi, bombole di ossigeno e medicinali negli ospedali e nelle farmacie. Camionisti che garantiscono la tenuta di comparti strategici e che pur venendo a contatto spesso con rappresentanti di categorie a rischio, come possono esserlo proprio coloro che operano negli ospedali, non si tirano indietro, consapevoli che senza il loro lavoro tutto diventerebbe drammaticamente più complicato. Chi potrebbe andare al loro posto a consegnare le bombole, i cibi? Qualche esperto che fa le sue analisi magari al sicuro dal contagio davanti al computer di casa? O magari qualche esponente politico che ogni volta va in tv a esprimere il proprio cordoglio ai familiari delle vittime e la vicinanza a chi si adopera per combattere la pandemia, con in prima fila proprio gli autotrasportatori, dimenticando però di fornire alle imprese l’unica “cura” di cui avrebbero bisogno, ovvero denaro liquido disponibile subito, per pagare i conducenti, il carburante, la manutenzione?”. Un fiume in piena, Fabrizio Rottoli, pronto però a concedere il beneficio del dubbio: “Se qualcuno possiede le prove “provate” che è davvero la categoria degli autotrasportatori a diffondere il virus ce lo dica e lo faccia subito, anche perché, in un caso simile, potremmo decidere di bloccare immediatamente l’attività. Per senso di responsabilità, per tutelare la salute pubblica”. Posizione assolutamente condivisa anche da Giacomo Ricciardi, sindacalista della Uil Trasporti e vicepresidente di Ebitral. “Milioni d’italiani aspettano che possano finalmente essere fatti screening di massa, noi a questo punto aspettiamo di avere dati su quanti camionisti sono risultati positivi, e magari su quanti tamponi sono stati fatti su di loro, sui loro familiari. Dati, perché è dai fatti e non dalle parole e da teoremi privi del più elementare corollario, che bisogna partire per sperare di risolvere un problema. Quegli stessi dati che noi continueremo a raccogliere nelle imprese di autotrasporto bergamasche dove se forse, a oggi, i contagi risultano bassi (bassissimi se si pensa che Bergamo è l’epicentro del contagio”), forse è anche perché l’autotrasporto è stato fra i primissimi settori a usare ogni precauzione, dalla mascherina ai guanti, arrivando spesso, in diverse aziende, ad acquistare strumenti per sanificare le cabine e i rimorchi. Apparecchiature che costano migliaia di euro acquistati dagli imprenditori pagando ovviamente di tasca propria”. Il tutto in attesa di un aiuto vero dallo Stato. Oltre che, possibilmente, di una conferma da parte di qualche studioso che è difficile pensare avesse intenzione, con le sue affermazioni, di colpevolizzare un’attività, ma di certo c’è riuscito perfettamente…