Non cerco (o provo a evitare) la polemica. Arriva tuttavia un punto di saturazione al quale bisogna dare il giusto sfogo. Questo avviene soprattutto quando vi è qualche realtà che spaccia per verità cercando, senza volerlo magari, di sostenere teorie che non trovano riscontro nella storia della rappresentanza del mondo dell’autotrasporto. Mi riferisco a chi prova a far passare come risolutiva dei mali che affliggono le imprese un’idea, sulla quale tutti non possiamo che convenire, relativa ai tempi di pagamento da parte della committenza. Così come non basta mettersi davanti a uno specchio per sostenere di essere bello, perché è la realtà che lo determina, altrettanto non lo è poter pensare di porre un problema e relativa ipotesi di soluzione, ritenendo che sia l’unica possibile e ottimale. Ora se non si conosce la storia degli anni passati sarebbe meglio essere più prudenti perché prima o poi chi conosce i fatti (il ministero per esempio) potrebbe renderli pubblici. Vi sono stati dei passaggi nelle trattative degli anni trascorsi che hanno indotto rappresentanti di categoria a riconsiderare la validità di alcune richieste effettuate e ottenute. Fu la realtà a convincere chi allora era alla guida dell’Unatras di rivedere il provvedimento ottenuto in tempi nei quali vigevano le tariffe previste dalla legge n. 298/74 (“Istituzione dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli autotrasporti di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di merci su strada. Istituzione dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli autotrasporti di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di merci su strada”), da tutti conosciuta semplicemente come “legge sulle tariffe a forcella”, che, tra l’altro, indicava i tempi di pagamento. Il motivo dipese dal fatto che, alla prova dei fatti, il meccanismo ottenuto si era mostrato non idoneo, se non addirittura dannoso, a risolvere il problema che si pensava definito. O meglio: forse ne risolveva uno ma ne generava altri ben più gravi. Non ho mai voluto ricordare quei passaggi, essendone stato uno dei protagonisti, e non lo faccio ora, ma vorrei invitare a evitare di spacciare come la panacea del problema un’idea mostratasi, in passato, non adeguata. Soprattutto se si continua a voler attribuire ad altri la responsabilità di non voler affrontare un problema reale e di grande impatto. Voglio ricordare a chi con interviste o inserti su giornali sostiene l’introduzione di una certa norma, di dubbia valenza, quanto successe in passato. La norma era stata già ottenuta ma venne sostituita con le attuali disposizioni che furono condivise ed emanate proprio per dover evitare che la normativa sull’argomento, che non si era mostrata di alcuna utilità, invece di aiutare gli operatori più deboli li danneggiasse. Ognuno è libero di pensarla come meglio ritiene; ma questi sono i fatti. Basta rileggersi le intese del passato per scovare quello che sostengo. Talvolta gli entusiasmi, che sono una caratteristica giovanile, dovrebbero tener conto di quanto verificatosi nel passato. La storia è un elemento da conoscere. Si eviterebbe di intraprendere strade poco produttive, e magari di indurre chi sta provando ad introdurre una soluzione a uno dei temi che le federazioni provano a risolvere da tempo a lasciare le cose come stanno. Vorrei far presente che se esistono pressioni per evitare la predisposizione di un’ipotesi prospettataci, tra l’altro adottata da un altro settore, significa che una certa valenza la possiede. Occhio che ricorrere alla demagogia talvolta si rischia di gettare insieme all’acqua sporca anche il bambino.
Paolo Uggé