Viaggio nel “caso Svezia”, dove il Coronavirus non ha chiuso le attività e le vittime sono meno

L’emergenza Coronavirus poteva essere affrontata seguendo strade diverse da quelle imboccate dal Governo italiano, contenendo i contagi ma anche, allo stesso tempo, la diffusione di una crisi economica gravissima dovuta alla chiusura di milioni di attività? Guardando a quanto accaduto in Svezia ‘verrebbe da rispondere di si. Un “caso Svezia”, protagonista nei giorni scorsi di un’ampia analisi sul quotidiano americano New York Times, che a dire la verità sembra suggerire anche un’altra indicazione: perché mettere al tavolo centinaia di “tecnici” ed “esperti” (tutti ovviamente da retribuire), come ha fatto il Belpaese, quando potevano bastarne pochissimi o addirittura uno solo, esattamente come ha fatto proprio il Governo svedese, affidandosi ai consigli del virologo, di Stato, Anders Tegnell? Uno studioso diventato una vera e propria star nel proprio Paese dopo aver dimostrato di aver ragione quando affermava, settimane fa, andando controcorrente nonostante fosse stato messo sotto accusa da tutti, che l’efficacia dei lockdown si sarebbe rivelata una beffa da aggiungere al danno. Perché chiudendo tutto le conseguenze negative sarebbero state doppie, aveva pronosticato: senza ridurre il numero delle vittime ma moltiplicando esponenzialmente il numero di cittadini che sarebbero “usciti” depressi dalla crisi economica scatenata e difficilissimi da “curare” da questa epidemia di sconforto e di nuova povertà Sono in molti, ora a guardare con attenzione al “caso Svezia (che, con il senno di poi, perfino qualche guru dell’organizzazione mondiale della sanità indica come un modello da seguire sulla strada di una nuova normalità dopo aver sostenuto invece,fin dall’inizio dell’emergenza, il “modello cinese”, la chiusura totale): moltissime persone che si domandano anche se al Governo non sia necessario avere persone capaci di decidere da sole, coraggiose quanto basta per assumersi le proprie responsabilità, senza bisogno di chiedere “aiuto” a centinaia di consulenti. Esattamente come ha fatto la Svezia, affidandosi a un solo virologo. Fra chi guarda con grandissima attenzione agli sviluppi del “modello Svedese” c’è anche Paolo Uggé, vicepresidente nazionale di Conftrasporto e Confcommercio, da sempre “critico” contro la chiusura totale, che dopo aver letto con attenzione un ampio articolo dedicato dal New York Times proprio al “caso Svezia” si è domandato se l’Italia non abbia “un gruppo dirigente inadeguato”. “Siamo particolarmente “amati” dal virus oppure c’è qualcosa che ci dovrebbe essere spiegato?”,chiede Paolo Uggé, che, in attesa di una risposta, anticipa comunque una risposta . “Da noi gli effetti saranno duplici: quello sanitario e quello economico. E quelli economici sono effetti che avrebbero potuto essere diversi, decisamente meno pesanti. La stampa americana ha evidenziato a chiare lettere come la maggior parte dei Paesi europei siano al lavoro per allentare le restrizioni decise per il coronavirus mentre chi queste restrizioni non le ha adottate potrà ripartire con molti meno ostacoli di altri da dover saltare. Per tutto il picco dell’epidemia la Svezia, nonostante attacchi anche durissimi da parte di “presunti possessori del verbo, della verità assoluta”,non ha mai imposto restrizioni drastiche agli spostamenti dei cittadini, limitandosi, per esempio a vietare assembramenti con oltre 50 persone, chiudendo musei e stati o palazzetti per eventi sportivi, ma lasciando contemporaneamente aperti bar, negozi e ristoranti, e perfino alcune scuole”, prosegue Paolo Uggè. “Affidandosi alla responsabilità individuale delle persone nel seguire alcune precise norme di sicurezza. E tutto questo”, sottolinea, “è avvenuto senza provocare le possibili stragi che qualche Cassandra aveva previsto, con un numero di morti molto ridotto: 2.355 con 19mila contagiati in un Paese di 10 milioni di abitanti. Lasciando lavorare milioni di persone, nei negozi, nei bar, lasciando che le fabbriche e i laboratori artigianali producessero. Insomma che l’economia continuasse a vivere. Protetta adeguatamente certo. Quello di cui avrebbe avuto bisogno l’Italia fin dall’inizi, non erano chiusure, ma la garanzia di poter continuare una vita “quasi normale” grazie mascherine davvero disponibili per tutti i lavoratori e non invece introvabili per settimane. Differenze notevoli”, conclude il vicepresidente di Conftrasporto e Confcommercio, “come del resto anche quella nella comunicazione, affidata, in Svezia, ai responsabili dell’ente nazionale responsabile della salute pubblica, invitati dal Governo a spiegare ai cittadini cosa andava fatto senza inutili maratone televisive come da noi, senza continui messaggi strappalacrime dei politici sulla vicinanza alle vittime. E, soprattutto, senza dichiarazioni, da parte dei politici svedesi, che una soluzione (soprattutto sul fronte economico finanziario) era “allo studio. “Promesse ripetute per settimane, senza però agire. Uno studio che praticamente dura da oltre due mesi e che ha portato a una sola conclusione: nonostante tutti gli studi, nonostante i tavoli con centinaia di consulenti, le manovre effettuate dal Governo sono da bocciare. Cosa accadrà adesso? Difficile prevederlo con un governo che sembra davvero capace di decidere con coraggio, smentito perfino dai governatori regionali: di certo il sistema economico non potrà reggere altre interruzioni nella produzione e nella vendita prolungate. Un danno più grave che altrove è già stato fatto: errare è umano, perseverare sarebbe diabolico. Anche alla luce dei dati svedesi dove, nonostante le aperture, come ha confermato il ministro delle Finanze, Magdalena Andersson, nel 2020 il Pil si contrarrà comunque del 7 per cento. Il gap Italiano sarà ben più pesante. E, ogni giorno che passa, sempre meno recuperabile…”.