“Al governo ci sono, in gran parte, degli incapaci”. “Mandiamoli a casa tutti”. Affermazioni che oggi più che mai “viaggiano” attraverso il Paese, da nord a sud. “Scaricare” l’attuale governo sarebbe possibile, ma rappresenterebbe la strada meno idonea per affrontare il mare di gravissimi problemi, sanitari ed economici, nel quale è immersa l’Italia. Affermare oggi che si doveva reagire in modo diverso, che andavano bloccati i viaggiatori che provenivano dalla Cina e non gli aerei, come qualche illuminato ha suggerito, è probabilmente vero ma inutile. Altrettanto come parlare del pasticcio sulle mascherine e sulle zone rosse. Errori commessi, e che non dovremo dimenticare, ma dopo: ora serve definire una strategia che consenta il più possibile alla gente e alle imprese di uscire da questo incubo. Mettendo in campo quel senso di responsabilità che sembra inutile chiedere a certi giornalisti (sempre alla ricerca della notizia che produca il titolone, stile “un uomo azzanna un cane”), sostenendo l’azione che su alcuni temi prioritari deve essere obbligatoriamente portata avanti da chi vuole seriamente operare per il bene comune. Un’azione che non può prescindere da alcuni concetti di carattere generale che valgono per tutti e che sono legati strettamente al valore di libertà. Uno su tutti: non è sopportabile una fase nella quale siano ancora impedite alcune attività. Si può invece regolamentarle. Divieti assurdi, così come lo sarebbe quello per impedire alle persone più anziane di partecipare alla vita civile, solo in ragione dell’età. Sarebbe anticostituzionale e ci troveremmo senza l’ausilio dell’esperienza maturata da questa classe di cittadini. Qualcuno sarebbe davvero disposto a rinunciare, solo in virtù della data di nascita scritta sulla carta d’identità, alle conoscenze di scienziati come Carlo Rubbia o Antonino Zichichi, di politici come Lamberto Dini o Gianni Letta? E qualcuno metterebbe davvero in isolamento un giornalista come Vittorio Feltri, o impedirebbe di uscire di casa a governatori come Attilio Fontana e Nello Musumeci, oppure a deputati come Piero Fassino o Pierferdinando Casini? Il divieto non è un rimedio di per sé, sempre efficace, infallibile. Può anzi, essere dannoso e in quanto tale da vietare. Un esempio? È davvero accettabile impedire l’attività fisica, sportiva, i cui effetti sulla mente, come hanno spiegato illustri psicologi e psichiatri, possono risultare altamente “curativi”? Perché tenere ancora chiusi i centri sportivi e le palestre? Perché piuttosto non regolamentarne l’esercizio? I casi sono due: o i medici hanno raccontato balle sui benefici delle attività sportive, oppure negarne l’esercizio è un controsenso. E ci sarebbero molti altri casi da evidenziare. Divieti a volte minori, a volte drammaticamente grandi nelle possibili conseguenze: come il rischio che, a “colpi di divieti” (e senza la capacità di mettere in campo misure di sostegno economiche concrete e immediate), si possa determinare l’impossibilità di proseguire nell’attività di autotrasporto che ha consentito al Paese di non bloccarsi in questa fase critica. Senza il trasporto e la logistica nei negozi non sarebbero arrivati i generi di prima necessità e negli ospedali e nelle farmacie i medicinali, oppure l’ossigeno. Eppure sembra che, passata la fase dei riconoscimenti, torni a emergere l’idiosincrasia verso l’autotrasporto, verso gli “invisi” camionisti. I loro “nemici ideologici” presto potrebbero perfino esultare, visto che molti autotrasportatori rischiano seriamente di non poter riaprire l’attività, “uccisa” da chi non ha saputo trovare le soluzioni adeguate per dare loro la liquidità necessaria. Chiunque non abbia le fette di salame sugli occhi non può non vedere le responsabilità del governo per non aver messo a disposizione risorse a fondo perduto in ragione dell’utile dichiarato nel precedente anno; per non aver sospeso per almeno sei mesi i versamenti contributivi da rimborsare, passati dieci anni, allo Stato con interessi sostenibili; per non aver semplificato delle procedure burocratiche con verifiche posteriori e per non aver velocizzato le norme sui pagamenti. Proposte ce ne potrebbero essere diverse: basterebbe ascoltare non chi si definisce esperto ma chi rappresenta gli operatori che effettuano operazioni di trasporto e logistica, senza limitarsi ad ascoltare solo chi li utilizza, o forse sarebbe meglio dire li sfrutta. Certamente sarebbe necessario individuare un comunicatore davvero capace di gestire a nome dell’Esecutivo le informazioni, evitando che tuttologi si esprimano su temi dei quali conoscono molto poco. Come se un autotrasportatore si mettesse a tenere lezioni in materia di virologia: diventerebbe solo un “caso clinico” (per l’esattezza psichiatrico”) da aggiungere all’elenco di quelli di tanti altri che dovrebbero evitare certe proiezioni fatte in base a dati fantasiosi e che invece c’è chi, pur di apparire, sforna ogni giorno. Sono in troppi a essere stanchi di sentire interpretazioni che fanno solo incrementare gli stati d’ansia e le paure. E che sono arcistufi anche di chi non ha ancora capito che le imprese hanno la necessità di certezze per poter intraprendere.
Paolo Uggé, vicepresidente di Conftrasporto e Confcommercio