“E se il ponte Morandi fosse crollato per un tubo caduto da un Tir?”. È questo il titolo con il quale il quotidiano Libero di domenica 4 novembre ha “lanciato” una nuova ipotesi sulla tragedia di Genova, riportando una teoria avanzata da un ingegnere, Agostino Marioni, la cui società, nel 1993, si occupò dei lavori di rinforzo del Pilastro numero 11 del cavalcavia. Una teoria secondo la quale il supertir Fiat Stralis della Mcm autotrasporti di Novi ligure, che il 14 agosto alle 11.36 stava percorrendo il ponte trasportando un pesantissimo rotolo d’acciaio caricato poco prima all’Ilva di Genova, potrebbe aver perso il carico che, scrive Libero, “viaggiando a una velocità di circa 60/65 chilometri orari avrebbe sprigionato una forza cinetica pari a una cannonata” . Una nuova possibile “chiave di lettura che ha provocato la reazione di Claudio Fraconti, vice presidente nazionale della Fai, la federazione autotrasportatori italiani, che in una lettera non nasconde la propria preoccupazione per un’ipotesi che potrebbe avere come risultato solo quello di “far perdere tempo e a non far raggiungere il traguardo della verità”. Ecco il testo della lettera. “Apprendo con sgomento una nuova ipotesi formulata sulle possibili cause del crollo del ponte Morandi. Dopo mesi di accuse alla Società Autostrade per omessa manutenzione, e al Ministero per omessa sorveglianza, con tanto di prove documentali, ora si imbocca una “nuova pista” che potrebbe far deviare le responsabilità su uno dei mezzi precipitati nel disastroso incidente, addirittura ipotizzando, come leggo su Libero, la caduta di un coils di 44 o 46,2 tonnellate (beata ignoranza, questo è il peso complessivo a pieno carico degli autoarticolati a 5 assi nella misura normale oppure con la tolleranza ammessa dal Cds del 5 %). Fortunatamente l’autista è ancora vivo e le sue dichiarazioni appaiono ben circostanziate, senza contare che il carico era da poco avvenuto all’Ilva di Genova e gli addetti ai lavori ben sanno quanto siano accurati i controlli da qualche anno a questa parte in materia di sovraccarico negli stabilimenti, e quanto siano cambiati, in meglio, i sistemi di carico e di fissaggio dei coils. Non mi soffermo sulla regolarità e correttezza dell’azienda Mcm di cui ben conosco la serietà, perché saranno in grado sicuramente di controbattere a questa ipotesi. Mi limito a ribadire quanto ho affermato il 16 agosto, a due giorni dalla sciagura in un’intervista al TG3 in cui ho provato a dare una mia lettura delle possibili cause, senza aver studiato ne tantomeno essermi laureato in ingegneria, ma semplicemente valutando l’anno di costruzione del viadotto, l’intensità del traffico e il tipo di veicoli in circolazione allora (veicoli sui quali andavo con mio padre e con i miei autisti durante le vacanze estive fin dall’età di 10 anni e che avevano 8 assi e andavano a 50 /60 all’ora e quando dovevano frenare dovevano iniziare 10 minuti prima). Con il passare degli anni e come tutti sanno (anche gli ingegneri) il traffico su quella tratta è enormemente aumentato, con i camion che vanno a 85 all’ora con 30/32 tonnellate di merce sopra (e con la loro tara arrivano appunto a 46,2 tonnellate massimo) e che, quando frenano, lo fanno decisamente meglio di prima ma, purtroppo, scaricando a terra un peso che è 10 volte maggiore. E quanti sono i camion che in un giorno normale interessavano quel ponte e frenavano per la colonna ferma? E perché mai il primo pezzo di viadotto ristrutturato anni fa è proprio quello in fondo alla discesa dello svincolo da Milano? Forse era quello che prendeva le maggiori sollecitazioni da anni? Non credo ci voglia un fenomeno per fare due più due. L’augurio è che al più presto si possano accertare le reali responsabilità di quel tragico crollo, senza spostare le indagini su piste magari destinate, come spesso avvenuto in in Italia, solo a far perdere tempo e a non far raggiungere il traguardo della verità. Magari sulla pelle degli autotrasportatori!”