Camionista lavoro duro? Chi fa un mestiere normale e l’ha “provato” è crollato in due giorni

Quanto può essere duro il lavoro di un camionista? E quanto può apparire “insostenibile” a una “persona normale”, fra giorni e notti che finiscono col confondersi scanditi da orari di guida e riposo obbligatori che mandano in tilt i bioritmi, i tempi di consegna che fanno viaggiare a palla  l’ansia di non riuscire ad arrivare magari puntuali a prendere il traghetto, o, ancora, i pasti consumati in pochi minuti in un’area di sosta, l’ igiene personale affidata ai bagni degli autogrill, le notti in cuccetta trascorse con un orecchio sempre “sveglio” per scoprire se stanno arrivando dei malintenzionati o, magari, per paura di ascoltare il silenzio del frigorifero che non raffredda più…? A una giornalista del settimanale 7 del Corriere della Sera, Irene Soave, “inviata speciale” per due giorni su un camion di prosciutti in giro per l’Europa, sono bastate 48 ore per “non vedere l’ora di arrivare alla meta, perché sinceramente”, ha confessato, “non ne posso più”. Letteralmente sfiancata dopo appena due giorni raccontati in un vero e proprio diario di viaggio che andrebbe caldamente consigliato, come lettura,  per esempio a chi non ha mai voluto riconoscere a quello del camionista il titolo di mestiere usurante. Provare, per credere, a leggere (cliccate qui) il resoconto delle 48 ore (e dei 1500 chilometri) percorsi da Como a Portsmouth dalla cronista a fianco di Ioan, autista della Transilvania, e con nel rimorchio “ 2,6 tonnellate di prosciutto, cioè 27 bancali, 1.646 scatole, 28mila vaschette, 140mila fette”…