Navi giganti? No grazie. È questo il titolo scelto dai responsabili della comunicazione di Confcommercio per sintetizzare quanto emerso dal convegno “Il confine dei giganti” organizzato da Federagenti per “navigare” alla scoperta del presente e soprattutto del futuro dei porti italiani. Un convegno che ha confermato come solo pochi porti italiani siano in grado davvero di ospitare cargo capaci di trasportare, lungo le autostrade del mare, fino a 15mila container e come nessuno scalo, invece, possa consentire l’ingresso di navi lunghe quattro campi di calcio di San Siro, larghe 60 metri e con uno scafo immerso per oltre 17 metri. In altre parole i nuovi colossi capaci di ospitare 21mila container. Giganti del mare costretti dunque a fare rotta verso gli scali del Nord Europa, almeno fino a quando l’Italia non dovesse colmare il pesante gap che la penalizza. Impresa quest’ultima ai limiti dell’impossibile se si pensa, come sottolinea puntualmente l’articolo pubblicato sul sito www.confcommercio.it, “che non esiste in Italia, se non si realizza una effettiva concentrazione in pochi poli portuali, il mercato in grado di garantire il carico sufficiente ad alimentare questi giganti” e che “le strategie già decise dalle grandi concentrazioni, che in una corsa ormai incontrollata stanno investendo in navi giganti, non prevedono scalo in Mediterraneo se non occasionalmente a Malta, in carenza di strategie politiche italiane coerenti”. Una situazione ulteriormente complicata dal fatto, come ha denunciato il presidente di Federagenti, Michele Pappalardo, che “tutti gli interventi legislativi, regolatori e infrastrutturali del settore sono fermi al palo mentre il Paese si trova a subire passivamente scelte sulle quali non può incidere perché non può neppure contare sulla definizione di un piano logistico o su scelte precise su quali porti, e su quali sistemi infrastrutturali coerenti, potranno ambire a un ruolo sulle grandi rotte del trasporto container”. Dalle relazioni dei relatori (fra cui Michele Acciaro dell’Università di Amburgo e Sergio Bologna, docente in materia di società industriale in importanti atenei italiani e stranieri,è emerso anche un enorme pericolo: quello che dal mondo marittimo, e dall’interscambio mondiale che per oltre l’80 per cento viaggia per mare, possa venire a galla una grande bolla finanziaria. Questo perché “la corsa al gigantismo navale, che continua a caratterizzare la strategia dei grandi gruppi che controllano il trasporto di merci in container e che sono impegnati da anni a ordinare navi portacontainer sempre più grandi, ha creato un circolo vizioso che sta facendo emergere una fragilità senza precedenti storici nel mercato marittimo. In 5 anni la flotta mondiale per il trasporto merci è cresciuta del 37 per cento, con tassi annuali anche del 10 per cento, a fronte di una recessione economica mondiale e di una crescita media del 2 per cento nel Pil mondiale. Numeri”, conclude l’articolo realizzato da Confcommercio, “che sintetizzano interrogativi inquietanti relativi alla corsa, tutt’oggi in atto, a nuove navi sempre più grandi e alle conseguenze che questa corsa genererà anche in sistemi Paese, come quello italiano, che rischiano di subire non solo l’impatto drammatico dello squilibrio fra domanda e offerta, ma anche una crescente emarginazione dalle grandi rotte dell’interscambio mondiale”. Interrogativi quali: che dimensione di investimenti saranno disposti a sopportare i porti per ospitare le navi giganti senza certezza di ritorno economico del loro investimento? Quale sarà l’impatto di queste navi sul sistema logistico (autostrade e ferrovie) quando queste navi imbarcheranno e sbarcheranno in poche ore volumi mai visti di container? Che rischi assicurativi porranno queste navi che in caso di incidenti potrebbero provocare danni superiori al miliardo di euro?