Un’App non può trasformare chiunque in un professionista della guida

Esiste una legge che disciplina l’attività del noleggio con conducente. È la legge 21/92, emanata per garantire ai cittadini che al volante ci siano dei professionisti della guida. Eppure c’è una società che, mettendo in collegamento diretto passeggeri e autisti grazie a un’App scaricabile dal cellulare, rischia di “sorpassare” questa legge. E lo fa da tempo senza che il Governo intervenga, creando i presupposti perché chiunque si senta autorizzato a esercitare questa attività in modo abusivo, senza dover dimostrare la perizia e la professionalità richieste per legge. A rischio della sicurezza dei passeggeri. E, come non bastasse, questa società, la Uber, sembrerebbe intenzionata a estendere i propri servizi anche al trasporto merci, con rischi altrettanto evidenti. A chi verrebbe affidata la merce? A chiunque decidesse di “diventare” autotrasportatore grazie a un’App? E questi nuovi “trasportatori” come potrebbero fornire le garanzie che un professionista del trasporto è chiamato ad assicurare, dimostrando non solo la propria capacità professionale ma anche l’onorabilià e la capacità finanziaria necessaria per consentire il risarcimento di eventuali danni? Ultimamente alcune autorità locali sembrano aver compreso il pericolo, procedendo, là dove sia stata constatata la mancanza dell’abilitazione professionale, al sequestro delle vetture e all’applicazione delle sanzioni. Ma i responsabili di Uber sembrano decisi a continuare a sfidare le regole, forse “forti” del fatto che il Governo appare invece “debole” e incapace d’intervenire. Una debolezza dimostrata, del resto, anche non intervenendo per cancellare la norma per la quale ogni noleggiatore dovrebbe far rientrare in sede qualsiasi vettura prima che questa possa effettuare un nuovo servizio. Impedendo, per esempio, a chi ha trasportato un cliente da Milano a Roma di caricarne un altro nella capitale per riportarlo a Milano. Due realtà imbarazzanti. L’Italia vorrà continuare a mantenerle fino a “esporle” all’Expo?

Paolo Uggé