La sentenza emessa dalla Corte di giustizia europea in materia di costi minimi non rappresenta affatto un pronunciamento negativo per le ragioni degli autotrasportatori come invece sostenuto in diversi comunicati diffusi dalla committenza. Ad affermarlo è l’avvocato Ivan Di Costa che in un intervento pubblicato sul sito www.conftrasporto.it sottolinea, tra l’altro, come “resti salvo il diritto degli autotrasportatori a ottenere il differenziale sul costo minimo in riferimento alle tabelle pubblicate dal Ministero dal luglio 2012 in avanti, sulla cui legittimità nessuna contestazione può essere, pertanto, formulata” e come la sentenza “confermi la correttezza e la bontà del principio secondo cui la sicurezza stradale è un obiettivo d’indubbia preminenza nella gerarchia dei valori comunitari, il quale può da solo giustificare una compressione della libertà contrattuale delle parti”. Ecco il testo integrale. “È stata emessa, in risposta ai quesiti sollevati a suo tempo dal Tar Lazio, la tanto attesa sentenza della Corte di Giustizia U.E. sulla conformità al diritto comunitario della disciplina sui costi minimi di sicurezza dettata dall’art. 83 bis della l. 133/08. Va, innanzitutto, evidenziato che, contrariamente ai proclami di segno opposto in questi minuti diffusi nei comunicati della committenza, non si tratta di un pronunciamento negativo per le ragioni degli autotrasportatori. Ciò essenzialmente per due ordini di ragioni. In primo luogo, è stata confermata la giurisprudenza del giudice europeo formatasi negli anni ’90 per cui è consentito dall’ordinamento comunitario un intervento autoritativo del legislatore nazionale nella formazione del prezzo del trasporto stradale di merce, allorquando la legittimazione a fissare i parametri di riferimento sia attribuita ad un organismo o ente ad integrale o prevalente controllo pubblico. Ed è quello che si è effettivamente realizzato in Italia dal luglio 2012, quando, come conseguenza del d.l. 13.7.2012 n. 95 (anche noto “spending review”), le funzioni e le competenze in materia di costi minimi assegnate originariamente all’Osservatorio della Consulta Generale dell’autotrasporto e della logistica (per l’effetto soppressa) sono state devolute integralmente al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. La censura formulata nella sentenza dalla Corte del Lussemburgo (con riferimento a presunti meccanismi di concertazione orizzontale dei prezzi che si celerebbero nella disciplina) si rileva, quindi, inattuale perché fotografa la norma esaminata nel suo contenuto previgente alla decisiva modifica del luglio 2012, che, come appena osservato, ha avuto l’effetto di superare i rilievi fino a quel momento formulati. A ben vedere, il dispositivo della sentenza si ferma esclusivamente alla questione appena citata, sicché i suoi effetti immediati andranno circoscritti entro questo perimetro, con la conseguenza che resta salvo il diritto degli autotrasportatori ad ottenere il differenziale sul costo minimo in riferimento alle tabelle pubblicate dal Ministero dal luglio 2012 in avanti, sulla cui legittimità nessuna contestazione può essere, pertanto, formulata. In secondo luogo, la sentenza, nonostante la digressione finale su alcuni aspetti di merito della norma (nella quale si esprimono considerazioni comunque prive di efficacia diretta sull’ordinamento nazionale), conferma la correttezza e la bontà del principio secondo cui la sicurezza stradale è un obiettivo d’indubbia preminenza nella gerarchia dei valori comunitari, il quale può da solo giustificare una compressione della libertà contrattuale delle parti. Insomma, tirando in estrema sintesi le file del ragionamento, la sentenza rende giustizia delle tante battaglie promosse da Fai – Contrasporto per far emergere al livello di legislazione e amministrazione la tutela della dignità dell’autotrasporto in un’ottica di protezione non soltanto degli interessi di una categoria particolare ma di salvaguardia di beni superiori di preminente interesse pubblico. Toccherà ora al legislatore italiano trovare le più appropriate soluzioni tecnico- giuridiche per conformare la norma alle indicazioni (ripetiamo non cogenti) provenienti dal giudice europeo, senza tuttavia intaccare l’impostazione e le finalità originarie assegnate all’art. 83 bis, sulle quali non vi può non essere unanimità di consensi alla luce del pronunciamento odierno”.