Le imprese fuggite all’estero tornano in Italia? Non facciamole fuggire di nuovo

Il potenziale della crescita italiana è pari a zero? A fare la funerea previsione è stato il professor Maurizio Ricci, rettore dell’università di Foggia, che in una sua recente analisi dell’economia italiana ha annunciato per il prossimo biennio una crescita massima dello 0,1 per cento. La conferma che una grande recessione, come quella vissuta fino a oggi, non si limita a lasciare profonde cicatrici, ma compromette il futuro. Il professore ha spiegato come, in  termini economici, la recessione non si limiti a ridurre il prodotto nazionale, ma comprima anche il prodotto potenziale, ovvero quello che ci sarebbe se non esistesse la recessione. Un prodotto potenziale che, secondo l’economista americano Laurence Bell, per la crisi si è ridotto in media dell’8 per cento, ma per l’Italia del 10 per cento. Ma non è tutto: il prodotto potenziale è elemento essenziale nel calcolare il disavanzo strutturale della finanza pubblica e più è basso, più si restringono i margini di flessibilità che l’Europa concederà. Una prospettiva allarmante per le imprese italiane che si dibattono tra poco attendibili annunci di ripresa e poco ottimistici dati sulla crescita. A questo punto non resta da sperare che le previsioni siano come quelle del meteo, anche se pensare a un improvviso rasserenamento appare pura fantasia alla luce di quanto (non) sta facendo l’Esecutivo. Se il Governo vuole aiutare il Paese, deve partire da un presupposto ben preciso: che il sistema produttivo riconosce alla gestione logistica una funzione rilevante nella competitività. ll fenomeno del reshoring, il controesodo delle imprese italiane scappate oltre confine e che ora timidamente stanno tornando a casa, percorrendo la strada opposta alla delocalizzazione, interessa Cina, India, Paesi dell’Est. Il fatto che le imprese tornino a produrre nel nostro Paese, deluse dai costi logistici troppo elevati per continuare a lavorare altrove (oltre che per l’impreparazione tecnica che hanno trovato lontano dall’Italia), è un motivo in più per accelerare lo sviluppo della gestione logistica. Peccato che leggendo il programma del semestre europeo a guida italiana di tutto questo non si trovi traccia, eccezion fatta per qualche affermazione generica sull’incentivazione del trasporto combinato su ferro o nave. E peccato ancor più grave è aver previsto nella legge sulla competitività, presentata in Parlamento, un incremento del costo dell’energia per il trasporto ferroviario che passerà da 3 a 4,20 euro al chilometro. Qualcuno sa spiegare a quale disegno appartengano queste scelte lungimiranti?

Paolo Uggé