Oltre la metà degli autotrasportatori è stressato dalla propria attività e questo stress deriva da vari fattori: i ritmi di lavoro, le ore di attesa e i conseguenti orari di lavoro lunghi e imprevedibili, il traffico, ma anche la poco interessante evoluzione della carriera e lo scarso riconoscimento sociale della professione, la mancanza di controllo sul lavoro, la mancanza di tempo da poter dedicare alla famiglia e agli affetti, l’inadeguata manutenzione e riparazione delle attrezzature di lavoro… Sono questi i principali dati emersi da uno studio realizzato dai responsabili dell’Ambulatorio stress e lavoro degli ospedali riuniti di Bergamo nell’ambito del progetto “Tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti di società di autotrasporti” promosso da Ebitral e Fai di Bergamo.
Lo studio, realizzato sotto la guida di Giovanni Mosconi, direttore della Divisione di Medicina del Lavoro e di Simonetta Spada, responsabile della Divisione di Psicologia clinica, ha coinvolto 80 autisti di 14 imprese ed è stato realizzato utilizzando come strumenti l’intervista semi-strutturata e l’Inventario di personalità MMPI-2. Il 53 per cento degli intervistati ha individuato più di un fattore di stress; il 21,7 per cento non ha invece individuato la presenza di fattori di stress. Le risposte del restante 78,3 per cento hanno visto il 60,5 per cento del campione individuare nel carico e ritmo di lavoro (ore di attesa, mancanza di controllo sul ritmo di lavoro, traffico ed elevati livelli di pressione in relazione al tempo) le principali fonti di stress; il 28,8 per cento negli orari di lavoro lunghi e imprevedibili; il 12,9 per cento nell’evoluzione della carriera (scarso riconoscimento sociale della professione); l’11,6 per cento nella mancanza di controllo sul lavoro; l’11,6 per cento nei rapporti interpersonali sul lavoro (rapporti limitati con il superiore, conflitto e mancanza di supporto sociale); il 10,1 per cento nella mancanza di tempo da poter dedicare alla famiglia e agli affetti; il 7,2 per cento in elementi che si riferiscono a funzione e cultura organizzativa; il 5,8 per cento nell’inadeguata manutenzione e riparazione delle attrezzature di lavoro. Nessuno ha individuato i fattori “ruolo nell’ambito dell’organizzazione” e “pianificazione di compiti” come potenzialmente stressanti.
Relativamente alla motivazione per cui è stata scelta questa professione è invece emerso che il 38,2 per cento l’ha scelta per passione; il 15,2 per cento per la libertà che il viaggiare gli consente di vivere,; il 12,7 per cento è stato influenzato dalla tradizione familiare; il 10 per cento per esigenze economiche. E se due intervistati l’hanno scelto “perché gli permette di stare molto tempo solo”, e un autista perché “è il lavoro più semplice per una persona straniera”, il 19,7 per cento non ha individuato un vero motivo per aver scelto di guidare i camion. Lo studio, infine, ha documentato la presenza di indici psicopatologici in una percentuale superiore al 10 per cento del, seppur contenuto, campione indagato, evidenziando la presenza di una buona percentuale di soggetti che si possono definire “in una condizione di vulnerabilità psicologica”. “Tutto questo pone la questione di come intercettare questi lavoratori e offrire loro una risposta concreta ed efficace”. ha commentato Giovanni Mosconi, “anche in considerazione del fatto che la prevalenza delle persone incontrate trascorre circa 12 ore al giorno impegnate nel lavoro alternando la guida con l’attività di carico e scarico e con i tempi di attesa. Gli autisti vivono molte ore in solitudine, hanno a disposizione poco tempo da poter dedicare ad attività extra-professionali (affetti, sport, hobby, interessi, …), le ore di sonno sono ridotte e l’alimentazione è poco regolare (spesso saltano il pranzo per mancanza di tempo o per non rischiare di addormentarsi)”.