Che Italia sarebbe senza camion? È questa la domanda che abbiamo posto nel mese di agosto attraverso una campagna d’informazione pubblicata per sette giorni consecutivi sulle pagine di Libero. Un vero e proprio “diario di viaggio” con il quale Conftrasporto ha voluto dare una concreta dimostrazione di cosa succederebbe ai cittadini italiani se, per venire incontro alle esigenze degli ambientalisti esasperati o di certi consumatori, i conducenti dei mezzi pesanti smettessero di circolare. Una domanda che tornerà presto prepotentemente d’attualità visto che il ministero dei Trasporti dovrà emanare, entro il 30 di ottobre, il decreto dei divieti di circolazione per i mezzi pesanti.
Tornare su questo argomento ci consente qualche considerazione, a freddo, su chi sono stati i veri artefici, in negativo, dell’aumento dei giorni nei quali la circolazione è vietata ai mezzi pesanti, aumento imposto con un’ordinanza dai giudici del Tar del Lazio che hanno così accolto un ricorso presentato da un’associazione di consumatori. I veri artefici sono stati la società Autostrade, l’avvocatura dello Stato e quelle associazioni di autotrasportatori alle quali era stato notificato il ricorso e che non solo si sono ben guardate dall’opporsi, ma non hanno neppure reso nota la notizia. Il dubbio che la comune matrice confederale (aderiscono a Confindustria) abbia indotto due associazioni delle imprese di trasporto a tacere è venuto a più di qualche operatore. Ma qualche riflessione, sempre a freddo, meritano anche le motivazioni della sentenza dei magistrati amministrativi i quali affermano di avere molto a cuore, e diciamo noi giustamente, la “finalità dell’interesse pubblico cioè la riduzione degli incidenti”. E la riflessione ci conduce obbligatoriamente ai costi minimi della sicurezza, introdotti da una legge dello Stato con l’obiettivo di far circolare sulle strade solo i camion (e i camionisti) più sicuri, oltre che all’unico pronunciamento fatto in materia dal presidente dell’Authority, Antonio Catricalà, che ha invece chiesto la cancellazione dei costi minimi, sostenendo così il primato del mercato sulla sicurezza dei cittadini. Noi conveniamo sul principio, che deve valere sempre, che ciò che conta è la sicurezza della gente.
Leggendo i dati relativi agli incidenti stradali avvenuti nel 2010 e contenuti nella memoria presentata al Tar, dati forniti gentilmente dalla società Autostrade, balza all’occhio (ma così non è stato per chi ha difeso il provvedimento), alla voce mezzi pesanti, il sostantivo coinvolti, che non significa colpevoli. Così come balza all’occhio il fatto che non siano evidenziate le diverse classi dei mezzi commerciali circolanti: autotreni, autoarticolati, autocarri e furgoni. Effettuando poi un raffronto tra il numero dei volumi, ovvero dei numeri dei mezzi, calcolati nella giornata di venerdì (quella ad alto rischio secondo quanto scritto nel ricorso al Tar) del 2009 e del 2010 e degli incidenti nei quali sono risultati coinvolti i mezzi pesanti, si ottengono delle percentuali dello 0,001. È questa la pericolosità che mette a rischio l’interesse pubblico? Forse se fossero stati evidenziate queste percentuali il giudizio dei magistrati avrebbe potuto essere diverso….
Paolo Uggè