POS, i benzinai non ne POSsono più. E ora devono dire quello che altri dimenticano di dire…

In questi giorni si è fatto un gran parlare della volontà del Governo di modificare la norma che impone di accettare pagamenti con bancomat e carte di credito per qualsiasi importo, ponendo prima il limite di 30 euro poi 60 euro, con i riflettori accesi, in particolare, sulla bontà o meno della nella lotta all’evasione. Un caso che ha scatenato autentici scontri d’opinione, diatribe infinite sulla libertà di pagare come meglio si crede e condite dal dare del rompiscatole a chi paga il caffè con il Pos per finire con chi tira in ballo i poteri forti, in questo caso le banche. Fiumi di parole (roba da scriverci un’enciclopedia) spesi sulla validità o meno alla lotta all’evasione, sul diritto o meno di rifiutare il pagamento con il Pos, sulla libertà di pagare come ognuno meglio crede senza che l’esercente di turno rifiuti il pagamento senza però ricordarsi (a parte qualche rara eccezione) di porre una domanda fondamentale: se veramente l’utilizzo della moneta elettronica sia a costo zero per il cliente utilizzatore. E questo non da ieri o da quando nel “Codice del consumo” (Decreto legge 2006/205 articolo 62) è stato introdotto il divieto per gli operatori di introdurre spese per i pagamenti utilizzando il Pos, come maggiorazione dei prezzi o richiesta di commissioni. Non c’è nessuno che lo trova perlomeno alquanto strano? Chi mastica un minimo di economia sa che l’imprenditore nel determinare un prezzo di vendita deve obbligatoriamente considerare una seria di fattori di costo di produzione, o vendita, ai quali aggiungerà il guadagno atteso, e che sta nelle sue capacità ottimizzare il tutto per la buona riuscita dell’impresa. E tra i costi ovviamente ci sono quelli bancari e delle commissioni pagate per l’utilizzo del Pos. E non serve che lo vadano a specificare: sta nelle cose che sia così.Va da sé che nel tempo i costi delle commissioni hanno sempre più pesato nella determinazione dei prezzi, irrisori all’inizio della diffusione dei pagamenti elettronici ma decisamente importanti oggi con percentuali di utilizzo che in certi casi superano il 90 per cento degli incassi, e naturalmente con questi costi che ricadono anche su coloro che pagano in contanti, anche perché la legge vieta differenze di prezzo a seconda della tipologia di pagamento. E nessuno leggerà mai sullo scontrino la componente di costo relativa al Pos, così come neppure si trova il costo del personale o il guadagno dell’esercente: il prezzo è quello Bancomat o contanti che sia. Qualcuno dirà che in fin dei conti è poca cosa il costo delle commissioni, cosa vuoi che sia un 1 o 2 per cento di costo per l’imprenditore? Già, magari chi lo dice non ha la più pallida idea di cosa significhi questa “irrisoria” percentuale sul volume complessivo annuale dei pagamenti che comunque qualcuno dovrà pur pagare. In ogni caso, sul singolo pagamento, 100 euro di spesa e 1 o 2 euro di commissioni non sono bruscolini per l’esercente e, credo, nemmeno per il cliente. Però nessuno ne parla di questo costo a “carico” del cliente. L’importante e che sia convinto che pagare con la moneta elettronica sia gratuito. Ben diverso è invece il discorso per la categoria dei gestori di impianti stradali di carburanti, che hanno margini estremamente risicati, quando va bene un 2 per cento sul prezzo dei carburanti, 1 euro se il cliente ne mette 50 sul serbatoio, considerando che i gestori pagano commissioni con una percentuale che mediamente è dello 0,65 per cento, ecco che allora l’euro guadagnato prima si riduce di un terzo, una follia. Qualcuno dirà che basterebbe che il gestore faccia come i colleghi imprenditori e spalmi il costo sul prezzo finale dei carburanti, mette un centesimo in più è la storia finisce li, mica penseremo che il cliente se ne accorga, vero? Effettivamente penso che non se ne accorgerebbe nessuno… o quasi.E sta in quel “quasi” il problema dei gestori, perché ci sono degli accordi con le compagnie petrolifere (firmati dalle tre organizzazioni Faib, Fegica e Figisc) che impediscono ai gestori di mettere mano ai prezzi consigliati dalle compagnie stesse oltre a un certo valore, si pensi che per la modalità di vendita self-service parliamo di 5 millesimi di euro al litro Iva compresa, si badi bene: millesimi e non centesimi. Un costo commissioni decisamente insopportabile (si tratta di una media di 9.000 euro all’anno per ogni milione di litri venduto) che il gestore non può riversare sul pubblico, anche se è pur vero che lo stesso gestore gode di un credito d’imposta sulle commissioni pagate, e ci mancherebbe altro visto che le paga anche sulla componente di tasse dei carburanti (oggi sono 88 centesimi di euro sulla benzina e 79 sul gasolio). Sta ai gestori mettere mano a questa stortura, ritrovare la voglia e la capacità di portare al tavolo le naturali controparti, compagnie petrolifere, per ottenere quel giusto riconoscimento economico che nel passato rendeva appetibile l’ attività mentre adesso i gestori appena possono scappano a gambe levate dagli impianti. E smettiamola una volta per tutte di cercare colpevoli in giro per il mondo: i gestori di aree di servizio si mettano davanti allo specchio e li avranno trovati.