Per un camionista il proprio mezzo non è solo uno strumento di lavoro: è un compagno, un amico inseparabile, da coccolare, da curare, da proteggere quasi come se fosse un figlio. Un compagno non solo di lavoro ma nella vita, prezioso quanto un gioiello. Difficile capirlo se non si è autotrasportatori, se non si fa parte di un mondo, quello dei camionisti “che viaggia a parte, parallelo a quelli degli altri, con regole proprie”, come l’ha definito Marco Berry, conduttore della trasmissione Inarrestabili, un format coprodotto da Fai Service, per viaggiare nel lavoro e nella vita di migliaia di camionisti.
Una frase che l’ex iena ha pronunciato al termine della puntata che più di ogni altra gli ha fatto comprendere l’incredibile rapporto che può instaurarsi fra un uomo e un camion. La puntata è quella che ha avuto per protagonista Michele Perrotti, 46 anni, che con i fratelli guida l’azienda di famiglia, l’Autotrasporti Perrotti Michele con sede a Lucera in provincia di Foggia, erede di quella Perrotti Snc che il padre ha fondato nel 1991. In eredità, insieme all’azienda, Michele Perrotti e i suoi fratelli hanno ricevuto però anche un’altra cosa: una passione per i camion quasi impossibile da spiegare. Così com’è inspiegabile che quella passione abbia portato nel 2001, alla morte di uno dei fratelli, Francesco, morto ammazzato perché colpevole di amare troppo il suo camion, per averne fatto il camion più bello d’Italia e probabilmente d’Europa, un mezzo talmente unico da essere cercato in tutti i raduni, da essere ammirato ogni volta che sfrecciava sulle autostrade. E proprio il Capriccio, oggi fermo nel piazzale dell’azienda Perrotti, quasi a raccontare che Francesco è ancora lì fra loro, è diventato, col passare dei minuti e dei chilometri, il vero protagonista della trasmissione, il testimone di un legame fra uomo e mezzo quasi impossibile da capire. Un legame che Michele Perrotti, fisico imponente e slang che più pugliese non si può, ha svelato stradafacendo, alternando, come esempi, il Capriccio, il mezzo di Francesco, e il Joker, il suo camion, che, quando Francesco era vivo, aveva sempre viaggiato incollato a quello di Michele. Sempre dietro di lui, distanziato di poche decine di chilometri, lungo milioni di chilometri percorsi in anni di lavoro vissuto sempre insieme. Da fratelli-colleghi che condividevano un amore sconfinato per il proprio camion, curando l’allestimento della cabina come se fosse la cosa più importante al mondo, prendendo maledettamente sul serio anche il più piccolo dettaglio. Quell’amore che ha spinto Michele a trasformare il suo Joker in un gioiello, del valore di 260mila euro, prendendo la macchina, arrivata bianca, e verniciandola di un color terra lunare; realizzando nella cabina un vero salotto, dentro capitonè pelle e alcantara abbinati a soluzioni d’arredo modernissime… A tener fermo il camion addirittura per 5 mesi perché tutto, in officina, venisse realizzato al meglio. Quello stesso amore che aveva spinto il fratello Francesco a fare del Capriccio un camion leggendario, famoso in mezzo mondo, pubblicato nel 2009 come il camion più accessoriato d’Italia, destinato a essere richiesto, a distanza di anni, da centinaia di frequentatori dei raduni che, puntualmente, domandano a Michele: “Hai portato il Capriccio?”. Un camion che ha scritto la storia, anche se una pagina di quella storia nessuno avrebbe mai voluto leggerla: 2001, raduno di Misano, Francesco Perrotti che passa accanto alla cabina del suo tir sprizzando orgoglio da tutti i pori, ammirando decine di colleghi che ammirano il suo mezzo, senza neppure immaginare che per un Capriccio si possa morire, ammazzati. Una provocazione lanciata da un giovane collega “invidioso, geloso per non poter possedere un camion altrettanto bello”, raccontano oggi i familiari di Francesco Perrotti, due schiaffi che volano. E il giorno dopo, quando tutto sembrava “sorpassato” la tragedia: un familiare del ragazzo schiaffeggiato che arriva nella sede dell’azienda di Francesco chiede di lui, entra in ufficio e gli spara due volte, ferendolo alla spalla e all’inguine. E poi Francesco che tenta di fuggire, uscendo in cortile, l’assassino che lo insegue, finendolo con un terzo colpo, sparato quando il “rivale” che ha osato avere un camion così bello è ormai a terra, per finirlo… Sono lucidi gli occhi di Michele Perrotti quando rievoca quei momenti. E gli si inumidiscono anche quando, la sera, terminato il viaggio di 800 chilometri con al fianco Marco Berry, trasportando 46 tonnellate di cereali per mezza Italia, lo accompagna nel piazzale a vedere il “Capriccio”, che presto, annuncia Michele Perrotti, tornerà a far parlare di sè, impreziosito da nuove soluzioni, riportato al centro della scena, nei raduni, dove tutti chiedono di lui… Perché? Per l’orgoglio di farlo”, spiega Michele a una perplessa ex iena, “perché avere il camion più bello, più accessoriato, regala una gioia che nessuno, se non appartiene a quel mondo, può capire”. “Perché Michele, sta proseguendo quello che Francesco aveva iniziato” spiega un altro familiare, e perché Francesco, dal cielo lo sta guidando. Indicando lui, questa volta, la strada al fratello dietro al quale ha viaggiato per anni, al volante del Capriccio sul quale spesso i fratelli tornano a salire, dove tutto è rimasto come 13 anni fa, con l’aquila in argento sul cruscotto, simbolo di libertà. Per capire come renderlo ancora più bello e fargli vincere il prossimo raduno di Misano. Come avrebbe fatto Francesco, il camionista che guidava il Capriccio, la cui storia, giura Marco Berry, “aleggia come una leggenda che alla fine ti entra nella pelle”.