Perché l’Italia sa reagire bene e in fretta a un’emergenza, come quella del ponte di Genova, e non sa invece far fronte alla “normalità”, alla gestione e manutenzione ordinaria? Perché non riesce a far diventare la “normalità”, la “regola” invece che un’eccezione, la messa in sicurezza delle infrastrutture, prevenendo possibili tragedie, abbattendo gli ostacoli della burocrazia, assegnando i lavori senza attendere anni se non decenni? Perché la politica non riesce a mettere in campo un’organizzazione efficiente che assicuri protocolli di qualità certificati, progettualità, copertura finanziaria certa, contratti con clausole chiare e competenze per dialogare con le imprese appaltatrici? Sono alcune delle domande che moltissimi italiani si sono posti una volta di più, nelle settimane scorse, dopo aver rivissuto, in occasione del terzo anniversario, la tragedia del Ponte Morandi a Genova. Domande che stradafacendo.tgcom24 ha deciso di rivolgere a un imprenditore, Stefano Mascio, alla guida dell’omonimo gruppo, specializzato nella movimentazione terra, calcestruzzi e materiali, che della ricostruzione del Ponte di Genova è stato fra i protagonisti. E che spiega perché, cambiando le “regole del gioco”, l’eccezione potrebbe davvero diventare la norma. Cogliendo l’occasione della montagna di denaro in arrivo dall’Europa per ricostruire davvero la viabilità e la mobilità del nostro Paese. L’Italia ha da poco ricordato il terzo anniversario del crollo del Ponte Morandi a Genova. Tempo di ricordare la tragedia, ma anche che la sua ricostruzione ha insegnato una cosa molto importante: che quando si vuole realizzare un progetto si può fare non solo bene ma anche in fretta…. Il Gruppo Mascio è stato fra i protagonisti della ricostruzione del Ponte Morandi di Genova: che esperienza è stata e come è stato possibile fare qualcosa che in passato era risultato impossibile in moltissime occasioni? “Grazie a un’esperienza ultra ventennale nel campo delle infrastrutture posso dire con coscienza che realizzare bene opere pubbliche non è questione di tempo, ma di professionalità, precisione e rigore organizzativo. Non posso dire perché in passato non sia accaduto. È stato così per il nuovo Ponte San Giorgio e sono orgoglioso di aver fatto parte della squadra che lo ha reso possibile”. Ora che la strada è stata aperta verrebbe da dire “imbocchiamola e percorriamola a tutta velocità”. Anche perché il lavoro da fare è moltissimo considerato quanto “scoperto” negli ultimi anni: ovvero che fra ponti, cavalcavia e gallerie di manutenzione ne è stata fatta pochissima e che l’Italia è disseminata di potenziali trappole… Visto dal suo “osservatorio privilegiato” lo scenario è drammatico come denunciano in molti? “Nel campo della manutenzione infrastrutturale c’è molto da fare, ma non userei il termine drammatico. Forse il tema da affrontare sono i piani operativi per i controlli e le tempistiche di intervento, che devono essere programmati periodicamente”. C’è una domanda che in moltissimi si sono posti dopo il “caso Morandi”: perché l’Italia sa reagire bene e in fretta a un’emergenza, come quella del ponte di Genova, e non sa invece far fronte alla “normalità”, alla gestione e manutenzione ordinaria? Perché non riesce a capire che solo agendo sempre come si è fatto a Genova, bene e in tempi rapidi ( “sterilizzando” la burocrazia, e assegnando i lavori con una procedura rapida, utilizzando più uomini d’azienda prestati alla politica e affidandosi a società in grado di garantire una direzione lavori serrata con una catena di comando e comunicazione agile) si possono prevenire altre emergenze e tragedie? Perché non capiamo che senza cambiare questa cultura ci saranno ancora altre tragedie “annunciate”, conseguenza fin troppo facilmente prevedibile quando non si agisce facendo manutenzione, mettendo in sicurezza le strutture o realizzandone di nuove? “È tipico degli italiani saper rispondere in modo eccezionale alle emergenze, sciagure naturali o tragedie come quelle dell’ex Ponte Morandi. Ed è un dato oggettivo l’eccessiva burocratizzazione che incide sull’efficienza delle realizzazioni infrastrutturali. Il compito delle imprese non è quello di dare suggerimenti alla politica, ma di fare bene il proprio lavoro. Con i fatti, con un’organizzazione efficiente, attrezzature e macchine ad alto contenuto tecnologico, con protocolli di qualità certificati non solo si possono fare opere di alta qualità in sicurezza, ma sarebbe possibile anche avviare un piano di manutenzione strutturale continuo su tutto il territorio nazionale”. E perché non si riesce a capire che solo con infrastrutture adeguate si permette all’economia di essere competitiva (in un mercato in cui il tempo è sempre più denaro) e, cosa altrettanto importante, si costruisce davvero una mobilità sostenibile? Come è possibile non capire che con traffico e code dovute proprio a una rete di strade, ponti, gallerie che fa acqua da tutte le parti, la riduzione dell’inquinamento, la difesa dell’ambiente restano solo vuote (e ipocrite) parole? “Sono convinto che il trasporto su gomma, se dotato di un parco macchine euro 6 e automatizzazione dei processi, sia ancora una leva di sviluppo per tutto il Sistema produttivo italiano. Il nostro Gruppo lavoro nel rispetto di tre parole chiave: move fast, save, green. Non è un claim pubblicitario, è il nostro modello di business comprovato dalle nostre azioni quotidiane”. La necessità di accelerare al massimo i tempi dei cantieri per le infrastrutture è inconfutabile: ma in un Paese che nella sua storia delle opere pubbliche ha scritto pagine vergognose, con ritardi di anni o addirittura decenni nella realizzazione dei lavori e con moltissime opere rimaste sulla carta, sarà davvero possibile? Lei è fiducioso? “Se si guarda al passato, ci sono molti episodi di cui non si può andare fieri, ma bisogna guardare avanti e avere fiducia. Abbiamo già dimostrato che possiamo fare bene e in tempi brevi”. Cambiare strada, accelerando procedure e lavori, o continuare a seguire la vecchia, rallentando tutto di nuovo: tutto dipenderà dalla reale volontà e capacità de Governo di “riparare” la macchina della burocrazia, vero nemico dell’Italia che vuole progredire: quanto “pesa” nei ritardi dei cantieri per le opere pubbliche la burocrazia? “La burocrazia è un elemento deterrente per l’efficienza in qualsiasi settore, non certo solo in quello delle infrastrutture. Ma come ho detto prima, bisogna essere positivi e dalle tragedie come quella del Ponte Morandi, bisogna ripartire per migliorare la situazione generale” . Superato l’ostacolo burocratico la storia insegna che i lavori proseguono poi rapidamente, come avvenuto anche in altri cantieri prima di quello per il Ponte Morandi: questa non è la conferma che c’è un’Italia “pubblica” che non fa che danneggiare l’”Italia privata” che sa lavorare, bene e in fretta? “Non credo che si debba fare una classifica del chi fa bene e chi fa male. Ognuno deve fare la sua parte, sia la Pubblica amministrazione sia il mondo imprenditoriale privato”. Da imprenditore che vuol far crescere, proprio collaborando alla realizzazione di nuove opere pubbliche, il proprio Paese, di cosa sente più l’esigenza? Cosa vorrebbe che il Governo facesse, subito, per una vera ripartenza? “Progettualità, copertura finanziaria certa, contratti con clausole chiare e competenze per dialogare con le imprese appaltatrici”. A proposito di ripartenza: l’iniezione di denaro liquido in arrivo dall’Europa è un’occasione unica e probabilmente irripetibile per “curare” la nostra mobilità ammalata: cosa occorre fare perché tutto venga accelerato ma senza correre pericoli, per esempio che gli appalti non diventino un “affare” per la malavita? “Mi auguro proprio di no. Se si lavora con competenze e trasparenza credo ci sia poco spazio per interferenze esterne”. Perché si continua ad “affiancare” alla possibile accelerazione dei tempi per i lavori anche una possibile accelerazione dei pericoli, per esempio “appalti male gestiti”, di possibili infiltrazioni mafiose o addirittura di rischi per la sicurezza? Non sono solo (misere) scuse adottate proprio perché “è più comodo” per moltissimi burocrati lasciare le cose come stanno, tenendo sulla scrivania (e giustificando così il proprio “ ruolo”) per anni una pratica anni quando potrebbe essere chiusa in mesi o addirittura settimane? “Non c’è nulla che non si possa cambiare. Basta volerlo”.