Il ritorno dei controlli doganali sulle Alpi ci costerebbe una montagna di milioni

Duecento milioni di tonnellate di merci, per un valore di 524 miliardi di euro attraversano annualmente i valichi alpini, e di queste il 60 per cento passano attraverso i valichi austriaci, nell’80 per cento dei casi con origine o destinazione in Italia e nel 20 per cento con un ruolo del nostro Paese soltanto di piattaforma logistica per scambi con origine e destinazione estera. Bastano questi dati, presentati a Roma dal presidente di Conftrasporto e vicepresidente di Confcommercio Paolo Uggé nel corso dell’incontro “Caso Brennero: danni economici per l’Italia e l’Europa”, per avere un’idea di quanto potrebbe pesare sull’economia italiana un eventuale ritorno ai varchi doganali. Un’ipotesi che alla luce di quanto dichiarato nel corso della recente Conferenza stampa dei ministri degli Interni italiano e austriaco, sembra essersi allontanata”, come ha sottolineato Paolo Uggé, ma che ha spinto comunque i responsabili dei centri studi diConfcommercio e gli analisti di Isfort a disegnare un possibile scenario nel caso i controlli in dogana dovessero tornare. Analisi più che giustificata visto che, come ha esordito Paolo Uggé, quanto affermato di ministri italiano e austriaco “rappresenta un fatto sicuramente positivo, ma purtroppo non risolutivo: nessun muro al Brennero per ora non esclude infatti ripensamenti futuri sul tema”. E in caso di possibili ripensamenti, cosa potrebbe accadere? “La libera circolazione riduce i tempi di spostamenti: il tempo è denaro e per per e imprese di autotrasporto anche una singola ora può fare la differenza. I nostri calcoli dimostrano come il ritardo degli attraversamenti generi, nell’immediato, costi sull’autotrasporto aggiuntivi per oltre 170 milioni di euro l’anno per ogni sola di ritardo, e sul sistema produttivo per 203 milioni di euro l’anno, sempre per una sola ora di ritardo. Fatta la somma, significa oltre 370 milioni di euro l’anno per ciascuna ora di ulteriore attesa”. Un danno immediato al quale se ne aggiunge uno in prospettiva, perché , ha affermato sempre Paolo Uggé, “rallentamenti indotti dai controlli ai valichi alpini possono, inoltre, marginalizzare il ruolo di piattaforma logistica che l’Italia sta svolgendo (basti pensare che un terzo dell’interscambio commerciale della Turchia avviene attraverso i nostri porti) e che potrà svolgere in prospettiva (per la ripresa dei commerci con Iran sono attesi 90mila camion e 3000 treni attraverso i soli confini con Austria). Non solo, dunque, danni nell’immediato, ma anche il rischio per l’Italia di passare da piattaforma logistica europea a isola spartitraffico del Mediterraneo, separata per effetto della barriera alpina dai mercati europei e doppiamente bypassata dai traffici marittimi: da un lato i contenitori diretti ai porti del Nord Europa e dall’altro i traffici Ro-Ro trasformati in tutto-strada lungo la via balcanica, più corta di oltre 1000 chilometri rispetto alla scelta intermodale dei nostri porti. Una prospettiva di isolamento deleteria per tutto il comparto logistico nazionale. Si pensi, a titolo esemplificativo dell’opportunità a rischio, che ciascun container aperto e manipolato è in grado di generare sul territorio circa 2.300 euro di valore aggiunto. E secondo alcune stime sarebbero circa 900 mila i container con merce destinata ai mercati italiani che invece di sbarcare e fare dogana nei nostri porti transitano attraverso quelli del Nord Europa, con perdite complessive stimate per l’erario (dazi e Iva non riscossi) in 4 miliardi di euro l’anno. Dati che rischiano di crescere ulteriormente con il nuovo tunnel del Gottardo, che renderà ancora più agevole e competitivo l’accesso da nord ai nostri mercati”. Come arginare i pericoli? “Operatori logistici, imprese e investitori per poter operare al meglio chiedono decisioni vincolanti, a tutela della libera circolazione interna, non soggette a ripensamenti contingenti dei singoli Stati: quello che bisogna fare è salvaguardare l’area di libera circolazione e svolgere controlli condivisi meno invasivi sulla filiera logistica, realizzandoli laddove le merci si devono naturalmente fermare, come nei nodi di scambio modale, e accelerandoli attraverso il supporto delle nuove tecnologie”.