Morti di serie A e di B. Come i camionisti, non considerati vittime del lavoro

È passato da pochi giorni il primo maggio, festa dei lavoratori. La domanda è se il vocabolo lavoratori comprenda davvero tutti coloro che svolgono un’attività o se esistano lavoratori più lavoratori di altri. Perché questo interrogativo? Perché ogniqualvolta succede una disgrazia, sui giornali vengono riportate dichiarazioni che ribadiscono la sacralità del lavoro e della sua sicurezza, ma mai la definizione di “vittime del lavoro” ha riguardato i conducenti dei mezzi pesanti. Le morti di autisti di Tir vengono classificate come semplici incidenti stradali. Eppure sono lavoratori, dipendenti o autonomi, che perdono la vita nell’esercizio di un’attività lavorativa, sul loro “posto di lavoro” che è la strada. Molti (e molte volte) hanno cercato di comprendere il perché di questo comportamento, ma senza risultati. Il dubbio che sorge è che se si approfondissero le ragioni delle tragedie potrebbero emergere verità scomode. Come scomodi sono gli ultimi dati ufficiali sulle morti per incidenti stradali di Aci- Istat che confermano come da gennaio a settembre 2015 i decessi siano incrementati dell’8,1 per cento e i feriti del 7,9 per cento. In numeri sono 14 uomini che hanno perso la vita sul lavoro. Quali riflessioni scomode potrebbero emergere scendendo un po’ in profondità? Ne proponiamo tre. La prima: è solo una coincidenza il fatto che l’aumento dei decessi dei conducenti di mezzi pesanti sia avvenuta dopo il depotenziamento delle norme sui costi della sicurezza e i controlli mirati che il decreto legislativo 286 aveva previsto nei confronti di tutti i soggetti della filiera, dal committente all’autista? Seconda riflessione, relativa alla nazionalità dei conducenti: quanti di questi sono autisti “in affitto” e quanti di loro percepiscono il giusto salario? E infine: a quanti di loro vengono imposti, usando veri e propri ricatti, tempi di consegna incompatibili con il rispetto delle norme della sicurezza? Domande alle quali forse qualcuno non vuole siano date le risposte che un Paese civile e una classe politica attenta e credibile dovrebbero esigere. Le normative esistono, ciò che non è certa è l’applicazione. Perché esistono funzionari che omettono di far rispettare la legge o perché il numero di controlli è insufficiente? La responsabilità non è delle forze dell’ordine. È degli stessi ai quali fa comodo che  le morti degli autotrasportatori siano classificate come incidenti stradali…

Paolo Uggé, presidente di Conftrasporto e vicepresidente di Confcommercio