Autisti in affitto, sette Paesi denunciano lo sfruttamento. L’Italia fa finta di niente

Basta alla somministrazione di lavoratori mobili, o, se si vuol esprimere lo stesso concetto con altri termini più comprensibili, stop all’affitto di lavoratori e allo sfruttamento di uomini. È questa la richiesta, fortissima, che Conftrasporto ha deciso di presentare al Governo in un momento nel quale a livello comunitario si sta riaprendo la discussione sulla modifica delle normative che consentono la possibilità di distaccare, non per le imprese che decidono di operare in altri Paesi della Comunità, bensì per le agenzie di intermediazione, del personale mobile. Un vero e proprio “esodo” che nel volgere di cinque anni ha visto più che raddoppiare l’esercito dei “distaccati” passati da 670mila a un milione e 400mila, con una forte quota di lavoratori del settore autotrasporto. Un problema talmente sentito da spingere ben sette Paesi della vecchia Europa (non l’Italia, evidentemente distratta) a porre da tempo la questione, richiedendo una revisione delle norme. Con la Gran Bretagna che ne ha fatto addirittura una delle questioni da risolvere per la propria permanenza all’interno dell’Ue. Nessuno intende intervenire sui principi del libero mercato: chi vuole aprire un’attività in un Paese membro della Comunità lo può fare attenendosi alle regole del Paese dove ha deciso di fare impresa. E può anche, in base alle normative comunitarie e di quel Paese, procedere al distacco del personale. Quello che si vuole impedire è l’esplosione di un fenomeno che sfrutta i lavoratori, determina problemi di natura sociale e falsa in modo significativo la concorrenza. Stessa retribuzione per lo stesso lavoro nello stesso posto: questo il principio che si vuol portare avanti. Frenando, prima che sia troppo tardi, Paesi come Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Estonia, Polonia Lettonia e Lituania che, non a caso, chiedono invece di mantenere le norme vigenti.

Paolo Uggé, presidente di Fai Conftrasporto e vicepresidente di Confcommercio.