C’è differenza se a investire e uccidere una persona è stato un conducente ubriaco o sotto l’effetto di droga, oppure uno che stava guidando a tutta velocità mettendo in pericolo la sicurezza altrui? Un conducente che sorpassa dove non esiste visibilità o che attraversa un incrocio col semaforo rosso e ammazza una persona è forse meno colpevole? Bastano queste poche domande per dimostrare quanto delicata sia la questione dell’introduzione del reato di omicidio stradale. Una delicatezza testimoniata sia dalla recente sentenza della Cassazione (secondo la quale con le leggi attuali il dolo eventuale per morti provocate da comportamenti altamente pericolosi alla guida è inapplicabile), sia dal fatto che nonostante dal febbraio 2014 il presidente del Consiglio Matteo Renzi avesse dato per certa l’introduzione dell’omicidio stradale, nulla è stato fatto. Con un dibattito in Parlamento che procede a rilento, forse frenato dalle perplessità dei molti che intravvedono forti dubbi di legittimità costituzionale. Ma chi governa un Paese può davvero fermarsi quando in gioco ci sono delle vite umane? Se non si riesce a uscire da questo vicolo cieco, perché non provare a copiare soluzioni in vigore in altri Paesi adattandole al nostro ordinamento? È possibile che in tutto questo tempo non si sia trovata una soluzione giuridica per introdurre una norma certa senza lasciare discrezionalità? È possibile che non si possa impedire che una condanna a 21 anni come quella inflitta in primo grado e in appello a Torino all’imprenditore albanese che aveva percorso la A26 contromano per 20 chilometri uccidendo quattro ragazzi francesi, venga cancellata come se nulla fosse successo? Perché non intervenire subito, agendo sulle sanzioni accessorie in relazione al danno determinato a persone o cose e che colpiscano anche il patrimonio? Non far nulla è inaccettabile. Significa solo fare propaganda, dimenticando che il valore della vita umana è superiore a qualsiasi altro. Come del resto fanno anche quei giudici che non riconoscono i costi minimi della sicurezza per l’autotrasporto, evidentemente meno importanti delle esigenze del mercato.
Paolo Uggé