Autostrade del mare: la via per il futuro è questa. Con porti e tempi adeguati

L’hanno ribattezzata la nuova via della seta: è il percorso seguito dal collegamento ferroviario fra Cina orientale e Spagna che in 21 giorni è in grado di trasferire 70 container dal polo industriale di Yiwu a Madrid. Un nuovo capitolo dei trasporti internazionali che l’Italia dovrebbe studiare per capire quali collegamenti scegliere per affrontare il futuro. Analizzando dati temporali e quantitativi: se il fattore tempo sembra infatti giocare a tutto vantaggio del treno, per quanto riguarda la quantità di container trasportati la rotaia “parte” nettamente sfavorita rispetto ai giganti del mare, capaci di moltiplicare il numero di merci e dividere il costo del trasporto. Per l’Italia, Paese circondato dall’acqua, restano dunque le “autostrade del mare” il percorso migliore? La risposta appare scontata, ma questo provoca nuove domande. Puntare su porti regionali o su porti strategici? E come assicurare nei nostri scali lavorazione delle merci e processi logistici in tempi rapidi, in modo da attrarre le grandi flotte mondiali che, puntando sull’Italia anziché sul nord Europa, risparmierebbero sette giorni di navigazione? Non sfruttare questo vantaggio naturale (che l’Italia ha sempre annegato in un mare di burocrazia) sarebbe un errore madornale. Per non compierlo serve soprattutto una cosa: realizzare una nuova e funzionale retroportualità, vero asset vincente. Sfruttare l’area di Trieste per collegarsi ai mercati del nord Europa può essere l’occasione per un grande sviluppo. Perché questo accada occorre però un progetto di sistema: il Governo se ne infischi delle proteste dei movimenti che vietano il dragaggio nei porti; realizzi banchine adeguate; individui i porti di accoglienza considerati strategici (quelli che Conftrasporto e Confcommercio indicano da anni). E nomini dei manager capaci, dotandoli di poteri e responsabilità sugli obiettivi. Scegliendo la competenza e non la necessità di ricollocare politici incapaci.

Paolo Uggé